La vicenda della ciclovia de Monte Moro ritorna d'attualità dopo che il Comune si è visto respingere il ricorso che aveva promosso avanti i Giudici Amministrativi, contro il diniego che la Soprintendenza aveva espresso nei confronti della richiesta che l'opera, per la parte abusivamente realizzata e quella ancora da realizzare, ottenesse la verifica di conformità paesaggistica e l'autorizzazione al completamento. Emerge dalla lettura della sentenza una modalità di esercizio dei poteri pubblici in capo al Comune che dagli stessi Giudici viene qualificata :"Grossolana "mala gestio" dei fondi pubbici". Una pagina nera per la Perla del Rosa che forse meriterebbe perdere questa qualifica, ma questo è stato e la cosa non finisce certamente qui. Se, con ogni probabilità, il Comune ricorrerà al Consiglio di Stato contro la sentenza dei giudici (difficile che otterrà un ribaltamento della decisione) intanto (probabilmente) comunque perderà il rilevante finanziamento comunitario con l'aggravante che la emessa Sentenza ha disposto il rinvio degli atti alla Procura Regionale della Corte dei Conti per l'eventuale possibile avvio di un procedimento per danno erariale. Non c'é che dire e intanto quell'opera, per certi aspetti irrazionale e irragonevole, che fine fara? Verrebbe da dire che ormai il danno, o parte di esso è fatto, in parte autorizzato, in parte no e quello no dovrà alla fine essere ripristinato ? Probabilmente sì, ma ad indicare una data nessuno oggi è in grado di dirlo. Peggio di così forse non si sarebbe potuto fare anche volendolo, ma forse quello è il metodo che alcune amministrazioni da sempre perseguono, forti di una presunzione di impunità. Per parte nostra vorremmo completare la segnalazione dell'opera alla Commissione Europea che potrebbe aprire (insieme ad altri innumerevoli casi) una procedura di infrazione nei confronti dello Stato membro, ma occorre anche valutare la possibilità di interessare del caso il Ministero Ambiente e ciò in virtù di articolo del Codice dell'Ambiente (309) che gli consente di sostitirsi alle amministrazioni locali inadenpienti (nel caso sarebbe la Provincia, Ente gestore della zona di protezione comunitaria della rete 2000 che avrebbe dovuto essere meno disattenta rispetto a quanto succedeva lassù) . Vedremo e ne daremo conto su queste pagine. Vi postiamo l'integrale Sentenza. Buona lettura
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1037 del 2023, integrato da motivi aggiunti, proposto da
Comune di Macugnaga, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Carlo Emanuele Gallo, Cataldo Giuseppe Salerno, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso lo studio dell’avv.to Carlo Emanuele Gallo in Torino, via Pietro Palmieri, 40;
contro
Ministero della Cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli in persona del Ministro e del Soprintendente pro tempore, rappresentati e difesi dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato, domiciliataria ex lege in Torino, via dell'Arsenale, 21;
per l'annullamento
per quanto riguarda il ricorso introduttivo:
- del provvedimento prot. n. 13349 del 4 ottobre 2023 con cui il Soprintendente della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli ha comunicato al Comune di Macugnaga la improcedibilità e la inammissibilità dell'istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ex artt. 167 e 181 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, recante il “Codice dei beni culturali e del paesaggio”;
- della successiva comunicazione prot. n. 14217 del 23 ottobre 2023 con cui il Soprintendente della Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli ha comunicato il rigetto dell'istanza di riesame della domanda di accertamento di compatibilità paesaggistica, rigettando l'atto di diffida e messa in mora;
nonché per la declaratoria di inefficacia
ex art. 2, comma 8-bis della legge 7 agosto 1990, n. 241
del suindicato provvedimento prot. n. 13349 del 4 ottobre 2023 e della successiva comunicazione prot. n. 14217 del 23 ottobre 2023;
nonché, infine, per l'annullamento e/o disapplicazione
- di tutti gli atti presupposti e connessi (comunque denominati), seppur non conosciuti - né negli estremi, né nei contenuti - al ricorrente Ente territoriale, comunque collegati e denominati;
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Comune di Macugnaga il 5/3/2024:
- della comunicazione prot. n. 8330 del 16 febbraio 2024, con la quale l'Avvocatura dello Stato, Torino, in nome e per conto delle Amministrazioni erariali resistenti ha reso noto al Comune di Macugnaga che la Soprintendenza ha declinato l'invito a dare adempimento e attuazione all'ordinanza collegiale n. 9 del 12 gennaio 2024 del T.A.R. Piemonte;
- della relazione prot. 0295815/2023 del 7 settembre 2023 della Guardia di Finanza, Compagnia di Domodossola, all'Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, DT II - Liguria, Piemonte e Valle D'Aosta, Ufficio delle Dogane di Verbano Cusio Ossola;
Per quanto riguarda i motivi aggiunti presentati da Comune di Macugnaga il 3/5/2024:
avverso e per l'annullamento della comunicazione prot. n. 2673 del 29 febbraio 2024; della nota della Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del 2 febbraio/7 febbraio 2024, prot. n. 1572, sconosciuta alla ricorrente
Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero della Cultura e della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola, Vercelli;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 25 settembre 2024 la dott.ssa Paola Malanetto e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Il Comune di Macugnaga ha impugnato il provvedimento con il quale la Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio delle Province di Biella, Novara, Verbano Cusio-Ossola, e Vercelli ha decretato l’inammissibilità/improcedibilità dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ex art. 167 del d.lgs. n. 42/2004 presentata dall’amministrazione comunale stessa in relazione alla intervenuta realizzazione di un percorso ciclabile che si snoda in area boschiva ai confini con la Svizzera in difformità dai pertinenti titoli di autorizzazione; l’atto è motivato sull’assunto che il Comune non aveva dimostrato la proprietà di tutte le aree interessate dagli abusi e che il tipo di abusi commessi, comportante disboscamento di aree paesaggisticamente tutelate, non sarebbe suscettibile di sanatoria.
Ha chiesto dichiararsi il provvedimento impugnato inefficace e/o comunque disporne l’annullamento.
Ha dedotto di avere ottenuto dalla Regione Lombardia (?) un finanziamento nell’ambito della cooperazione transfrontaliera Italia-Svizzera per la realizzazione di un percorso per e-bike. Il tracciato imponeva una variante urbanistica, regolarmente approvata dall’amministrazione comunale stessa, e veniva definitivamente autorizzato nel 2021 nell’ambito di una conferenza di servizi gestita, quale autorità procedente, dallo stesso Comune di Macugnaga; in quel contesto veniva rilasciato anche il parere favorevole della Soprintendenza.
I lavori avevano avvio nel 2022 e l’esecuzione era difforme dal progetto, comportando una modifica del tracciato. In un parallelo procedimento penale, nel 2023, l’area veniva posta sotto sequestro da parte della Procura della Repubblica di Verbania.
In tale contesto il Comune avanzava, in data 18.5.2023, una istanza di autorizzazione paesaggistica in variante, ai sensi dell’art. 146 co. 2 del d.lgs. n. 42/2004; la Soprintendenza replicava che l’istanza appariva confusa in quanto riferita, in parte, a una porzione finale di percorso ancora non realizzata e, in massima parte, ad un tracciato già realizzato in difformità da quanto autorizzato che, come tale, necessitava non di variante ma di accertamento di conformità paesaggistica.
In data 22 giugno 2023 il responsabile del procedimento del Comune di Macugnaga presentava una istanza dalla doppia intitolazione “autorizzazione ex art. 146 secondo comma codice dei beni culturali e del paesaggio” e “accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art. 167 co 4 e 5 del decreto legislativo n. 42/2004”, allegando alcune tavole di progetto.
In data 6 luglio il Comune qualificava istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica la propria richiesta ed allegava una relazione illustrativa e proposta di provvedimento.
Con comunicazione del 31 luglio 2023 la Soprintendenza chiedeva integrazioni documentali e chiarimenti.
Il 4 ottobre perveniva al Comune il provvedimento qui impugnato.
Lamenta parte ricorrente:
1) la violazione del principio del giusto procedimento con omessa comunicazione dei motivi ostativi, violazione dell’art. 10 bis della l. n. 241/90, dell’art. 97 co. 2 Cost, dell’art. 120 co. 2 Cost; eccesso di potere per violazione del contraddittorio procedimentale, carenza istruttoria, macroscopica illogicità, contraddittorietà. Nel procedimento de quo sarebbe mancato il preavviso di rigetto che, nel caso di specie, competerebbe alla Soprintendenza, il che avrebbe precluso al Comune di rappresentare compiutamente le proprie ragioni;
2) violazione del combinato disposto dell’art. 17 bis della l. n. 241/90 e dell’art. 167 co. 4 e 5 del codice dei beni culturali; violazione dell’art. 97 co. 2 Cost; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto, carenza di istruttoria, erroneità della motivazione. Sostiene parte ricorrente che alla fattispecie troverebbe applicazione il cosiddetto silenzio assenso così ricostruendo gli eventi: il termine procedimentale sarebbe di 30 giorni e decorrerebbe dal 18 maggio 2023; sarebbe stato interrotto il 16 giugno 2023 per una richiesta istruttoria, cui il Comune avrebbe dato riscontro il 22 giugno; il provvedimento, del 4 ottobre, sarebbe pertanto tardivo rispetto al 16 giugno, sia considerando un termine di 30 giorni che considerandone uno di 90 giorni; né sarebbe valorizzabile una seconda integrazione istruttoria richiesta dalla Soprintendenza, potendo il termine essere interrotto a fini istruttori una sola volta;
3) violazione del combinato disposto dell’art. 2 co. 8 bis della l. n. 241/90 e 167 co 4 e 5 del codice dei beni culturali; violazione degli artt. 17 bis co. 1, 3 e 20 co 1 e 3 della l. n. 241/90; violazione dell’art. 97 co. 2 Cost., dell’art. 120 co. 2 Cost; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto e carenza istruttoria, erroneità della motivazione; essendo decorso il termine per la formazione del silenzio assenso, il provvedimento successivamente adottato sarebbe inefficace; conseguentemente se ne auspica la formale declaratoria di inefficacia;
4) violazione dell’art. 20 co. 3 della l. n. 241/90; essendosi formato il silenzio assenso l’amministrazione, a tutto concedere, avrebbe potuto/dovuto intervenire in autotutela;
5) violazione del combinato disposto degli artt. 2 co. 8 bis della l. n. 241/90 e 167 co. 4 e 5 del codice dei beni culturali; violazione dell’art. 149 co. 1 e 2 del d.lgs. n. 50/2016; violazione dell’art. 97 co. 2 Cost.; violazione dell’art. 120 co. 2 Cost.; eccesso di potere per travisamento dei presupposti di fatto, carenza di istruttoria, erroneità della motivazione; il provvedimento impugnato stigmatizza la carenza di titolarità in capo al Comune di tutte le aree interessate, circostanza che avrebbe dovuto essere rappresentata nel contraddittorio procedimentale e sarebbe superata dall’acquisizione in via bonaria di tutte le aree di interesse da parte del Comune; in ogni caso le modifiche non avrebbero interessato l’intero tracciato ma alcune sue limitate porzioni, che sarebbero anche state autorizzate con una variante. Inoltre, come attestato dal responsabile del procedimento, il nuovo tracciato avrebbe una lunghezza minore, avrebbe comportato minori volumi di scavo; si tratterebbe quindi di un tracciato in riduzione rispetto a quello autorizzato; si tratterebbe inoltre di modifiche che, ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n. 50/2016, in allora vigente, rientrerebbero nel concetto di variante.
Ha quindi chiesto annullarsi il provvedimento impugnato ed eventualmente disporsi verificazione.
L’amministrazione si costituiva dapprima con memoria di stile.
Con successiva memoria depositata in data 8.1.2024 il Comune rappresentava che: la Corte di Cassazione avrebbe, nelle more, annullato il provvedimento di sequestro gravante sull’area; i lavori sarebbero a questo punto stati bloccati solo in ragione della mancanza del parere della Soprintendenza; sarebbero residuate poche centinaia di metri di opere per il completamento da realizzarsi “rispettando il progetto sul quale si è svolta la Valutazione Ambientale Strategica sia pure con talune varianti”, per le quali sarebbero state in corso le autorizzazioni; il provvedimento impugnato avrebbe comportato il rischio di compromettere l’elevato finanziamento pubblico conseguito per la realizzazione dell’opera.
Con ordinanza n. 9/2024 il Collegio richiedeva integrazioni istruttorie e chiarimenti, stante la difesa in quella fase solo formale dell’amministrazione resistente; prendeva atto della rappresentata possibilità di eventuali accordi, dando alle parti tempo per addivenire alla prospettata possibile soluzione concordata a fissava, in ogni caso, nuova camera di consiglio al 20.3.2024 per l’eventuale prosecuzione dell’incidente cautelare.
Con atto di motivi aggiunti depositato in data 5.3.2024 il Comune impugnava la missiva con la quale la difesa erariale ribadiva la posizione della Soprintendenza ed evidenziava che, allo stato dei fatti, non vi erano margini di soluzioni concordate; impugnava inoltre una relazione istruttoria predisposta dalla Guardia di finanza nell’ambito del procedimento penale e volta all’accertamento di possibili illeciti penali/amministrativi relativamente allo stato dei luoghi, lamentando:
1) la violazione ed omesso adempimento dell’ordinanza n. 9/2024 del TAR Piemonte, dell’art. 120 co. 2 Cost., degli art. 1 co. 1 e 2 bis della l. n. 241/90; eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, difetto di istruttoria; motivazione illogica, carente e contraddittoria; l’amministrazione resistente non sarebbe stata concretamente disponibile ad un accordo cui, in tesi, sarebbe stata tenuta in forza dell’ordinanza di questo TAR;
2) violazione dell’art. 120 co. 2 della Costituzione e dei principi di trasparenza e pubblicità, imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa; violazione dell’art. 41 par. 2 della Carta dei diritti fondamentali UE e dei principi comunitari, anche alla luce della previsione dell’art. 1 co. 1 l. n. 241/90; violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei principi desumibili dall’ordinamento dell’Unione Europea, del principio di ragionevolezza e proporzionalità, difetto di istruttoria, motivazione illogica, contraddittoria, perplessa; contesta la relazione prodotta dalla Guardia di finanza in quanto predisposta nel contesto del procedimento penale ove, a detta di parte ricorrente, il sequestro sarebbe stato annullato; in ogni caso la relazione conterrebbe valutazioni soggettive nella parte in cui pone in evidenza che il nuovo tracciato, per come realizzato, di fatto crea una pista carrozzabile e non solo ciclabile.
Con memoria depositata in data 15.3.2024 l’amministrazione ha contestato in fatto e diritto gli assunti di cui al ricorso introduttivo; con riferimento ai motivi aggiunti ne ha eccepito l’inammissibilità per essere rivolti avverso atti interlocutori e privi di valenza provvedimentale; in ogni caso ne ha contestato il merito.
Con atto depositato in data 3.5.2024 il Comune di Macugnaga ha presentato secondo atto di motivi aggiunti, impugnando il provvedimento in data 29.2.2024 con il quale la Soprintendenza ha invitato il Comune a concludere il procedimento dal medesimo promosso con formale declaratoria di inammissibilità della richiesta di accertamento di conformità ambientale; ha altresì contestato la presupposta nota della direzione archeologica belle arti e paesaggio menzionata nell’atto impugnato e di cui ha chiesto, tra l’altro, acquisizione istruttoria.
Ha lamentato:
1-2-3) l’illegittimità derivata per violazione degli artt. 167 co 4 e 5 e 181 del d.lgs. n. 42/2004; la violazione ed omesso adempimento dell’ordinanza n. 9/2024 di questo TAR; la violazione dell’art. 120 co. 2 Cost. e dei principi di trasparenza e pubblicità; la violazione dell’art. 149 co. 1 e 2 del d.lgs. n. 50/2016 e 6 co. 12 del d.lgs. n. 152/2006; violazione del principio di ragionevolezza, proporzionalità, difetto di istruttoria e motivazione; violazione dell’art. 1 co. 1 e 2 bis l. n. 241/90; eccesso di potere per violazione del principio di ragionevolezza e proporzionalità, difetto di istruttoria; motivazione contraddittoria e abnorme; violazione dell’art. 41 par. 2 della Carta dei diritti fondamentali UE e dei principi comunitari anche alla luce della previsione dell’art. 1 co. 1 l. n. 241/90; violazione dell’art. 6 par. 1 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e dei principi desumibili dall’ordinamento dell’Unione Europea, del principio di ragionevolezza e proporzionalità, difetto di istruttoria, motivazione illogica, contraddittoria, perplessa. Parte ricorrente ripropone poi le censure già dedotte con il ricorso introduttivo e i primi motivi aggiunti.
Per l’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie e repliche e la causa è stata discussa e decisa nel merito.
DIRITTO
Pare opportuno preliminarmente inquadrare le circostanze di fatto e la disciplina giuridica che caratterizza tanto il procedimento che il provvedimento per cui è causa, stante la ricostruzione a tratti contraddittoria che si evince dalle allegazioni di cui al ricorso introduttivo e la peculiarità del caso.
E’ pacifico e documentato che, nel 2021, il Comune di Macugnaga, in qualità di autorità procedente oltre che soggetto istante, ha indetto una conferenza di servizi, nel cui contesto ha acquisito le necessarie autorizzazioni per la realizzazione di una pista di mountain-bike; l’intervento ha richiesto una variante urbanistica.
Per l’autorizzazione il Comune di Macugnaga risulta individuato come autorità proponente, autorità procedente e autorità competente a decidere in materia di VAS, il tutto in forza delle deleghe che in materia la legge regionale piemontese (l.r. Regione Piemonte n. 56/77 art 17 bis) intesta ai comuni. La difesa di parte ricorrente ha prodotto in giudizio la documentazione amministrativa dell’originario procedimento, senza nessun corredo di disegni del tracciato come previsto ed autorizzato (docc da 5 a 10 di parte ricorrente).
E’ ugualmente pacifico che, con riferimento a tale intervento, il Comune è stato beneficiario di un rilevante finanziamento europeo.
Infine è pacifico che i lavori posti in essere dal Comune non siano stati conformi a quanto autorizzato. In disparte gli sforzi della difesa di minimizzare l’accaduto, è del tutto ovvio, alla luce della stessa condotta dall’amministrazione e del presente oggetto del contendere, che il Comune riconosce di avere realizzato un tracciato difforme (e come tale abusivo) rispetto a quanto autorizzato; diversamente non si comprenderebbe neppure perché lo stesso Comune avrebbe presentato e coltivato, inizialmente in una inammissibile forma promiscua, due istanze, una di accertamento di conformità (relativa alla parte di tracciato realizzata in difformità) e una di variante per essere autorizzato a completare il percorso in modo difforme da quanto in origine previsto. A rigore, e per quanto concerne l’ultimo tratto del tracciato, il Comune più volte menziona in atti una variante; senonché, dopo avere qualificato variante (cfr. istanza del Comune del 19.5.2023 - sub. doc. 5 di parte resistente – e riscontro della Soprintendenza del 16.6.2023, che evidenzia la contraddizione intrinseca di richiedere una “variante” in relazione ad opere, pur non compiutamente documentate nel procedimento, già realizzate – sub. doc. 6 di parte resistente) quella che, interessando per la quasi integralità un tracciato ormai realizzato, non poteva che atteggiarsi come accertamento di conformità, solo in data 6 luglio ha proceduto alla rettifica dell’istanza in termini di sanatoria/accertamento di conformità; ancora nella nota del 23 giugno il Comune persiste nella ambigua qualificazione dell’istanza ad un tempo come autorizzazione in variante e accertamento di conformità. Nel corpo degli atti si effettua poi più volte riferimento ad una ulteriore, e si presume autonoma, pratica di variante per quanto concerne l’ultima e non ancora realizzata porzione di tracciato, di cui tuttavia non vi è documentazione agli atti.
Sempre in fatto è pacifico che il sito, tutelato dal punto di vista paesaggistico, sia, all’attualità, sotto sequestro nell’ambito di un processo penale; in fase cautelare la difesa dell’amministrazione ha rappresentato che il sequestro sarebbe stato annullato dalla Cassazione; senonché, dai documenti prodotti in atti (doc 19 e 20), non si evince affatto che l’area sia stata liberata essendo intervenuto un mero annullamento con rinvio che, necessariamente, richiedeva una nuova pronuncia di merito.
Per l’udienza di merito l’amministrazione ha rappresentato che il sequestro è poi stato confermato; sul punto la parte ricorrente non ha formulato specifica contestazione né ha documentato gli esiti del giudizio di rinvio, ormai certamente svoltosi; deve quindi ritenersi che il sequestro permanga.
Stante la non contestabilità delle circostanze sopra riportate, devono essere respinte in quanto palesemente ultronee le istanze istruttorie mosse del Comune e che attengono o ad una irrilevante richiesta di verificazione tendente a constatare l’esatta difformità di quanto realizzato (difformità che il Comune stesso avrebbe dovuto puntualmente rappresentare nella propria istanza di accertamento di conformità e che comunque emerge in atti dalla puntuale relazione predisposta dalla Guardia di Finanza nel parallelo procedimento sanzionatorio penale e amministrativo, cfr. doc. 34 del Comune), ovvero all’acquisizione di ulteriori documenti in un contesto in cui la documentazione in atti è più che sufficiente per la decisione.
Con il provvedimento impugnato la Soprintendenza ha dichiarato improcedibile/inammissibile l’istanza di accertamento di conformità formulata dal Comune sulla scorta di due argomentazioni:
1) l’amministrazione comunale non avrebbe dimostrato di essere titolare di tutte le aree interessate dall’intervento, sì da essere financo priva di legittimazione a richiedere la complessiva sanatoria, con preliminare improcedibilità dell’istanza;
2) il tipo di abuso commesso (realizzazione di un tracciato diverso da quello previsto, sia in termini di percorso che in termini di larghezza del passaggio, con connesso disboscamento di aree), pur necessitante di autorizzazione paesaggistica (in quanto impattante su area tutelata dal punto di vista ambientale), non rientrerebbe tra quelli suscettibili di accertamento di conformità; infatti il combinato disposto dell’art. 167 commi 4 e 5 del d.lgs. n. 42/2004 circoscrive l’accertamento di conformità ad interventi per i quali occorre valutare se hanno o non hanno un impatto su volumi, superfici, materiali o che comunque sono qualificabili manutenzione ordinaria e straordinaria; ne consegue che il suo oggetto è circoscritto agli abusi che coinvolgono gli edifici.
Con il primo motivo di ricorso si contesta che siffatto provvedimento, sostanzialmente negativo, sia stato adottato senza preliminarmente attivare con il Comune il contraddittorio procedimentale sulle specifiche contestazioni tramite la comunicazione di preavviso di rigetto.
Osserva il Collegio che, se è vero che la normativa intesta alla Soprintendenza la specifica competenza in materia di compatibilità ambientale e che, per tale ragione, il parere negativo di questa amministrazione, ancorché atto endoprocedimentale, vincola il Comune procedente e si atteggia dunque ad atto è autonomamente impugnabile, resta il fatto che il procedimento ha natura complessa e vede l’interazione dell’interesse ambientale con quelli strettamente urbanistico ed edilizio, che si intestano al Comune.
Il Comune, quale autorità procedente è innanzitutto tenuto all’istruttoria preliminare (cui si ascrive, ad esempio, la verifica di legittimazione degli istanti), così come è pacifico che, pur a fronte di un parere favorevole dall’autorità paesaggistica, il Comune potrebbe esprimere un diniego per valutazioni proprie.
Non stupisce quindi, alla luce della complessità procedimentale, che in giurisprudenza sussista un contrasto circa quale amministrazione sia tenuta a formulare il preavviso di rigetto. Secondo un primo orientamento la partecipazione procedimentale deve essere stimolata, in ossequio alla regola generale, dall’autorità procedente (dunque, nel caso di specie, dal Comune) nella fase finale del procedimento (TAR Lombardia, n. 1033/2019); la soluzione trova un conforto letterale nelle norme in quanto, mentre l’art. 146 co. 8 del d.lgs. n. 42/2004, nel disciplinare l’autorizzazione ordinaria ex ante, attribuisce espressamente l’onere di comunicare il preavviso di rigetto alla Soprintendenza, altrettanto non si rinviene nell’art. 167 che disciplina l’accertamento di conformità postumo; se ne ricava che, in mancanza di espressa diversa previsione, troverebbe applicazione la regola generale dettata dall’art. 10 bis della l. n. 241/90, che intesta l’onere all’autorità competente all’adozione del provvedimento finale.
Un secondo orientamento, visto l’effetto di preclusione che il parere della Soprintendenza comporta per l’interessato, intesta l’onere di comunicare il preavviso di rigetto, anche in caso di accertamento di conformità postumo, alla Soprintendenza (Tar Campania. n. 1349/2018).
Osserva il Collegio che questa seconda soluzione, ancorché sorretta da valide ragioni di natura sostanziale e di economia procedimentale, presenta a sua volta criticità; è, ad esempio, pacifico che, pur a valle di un parere favorevole della Soprintendenza, il Comune potrebbe determinarsi in senso negativo per ragioni proprie, il che imporrebbe, quantomeno, un secondo preavviso di rigetto sulle diverse problematiche riscontrate, così moltiplicando il contraddittorio e pervenendosi ad una sorta di eterogenesi dei fini, per la quale una soluzione nata da ragioni di economia procedimentale finirebbe per costringere l’interessato a più interlocuzioni inutilmente spezzettate tra di loro.
Ancora la soluzione scelta non può non essere calata nella peculiarità del caso di specie.
E’ pacifico che l’istruttoria preliminare (nel cui contesto deve essere verificata la legittimazione all’istanza) competa all’autorità procedente; sempre per ragioni di economia procedimentale, qualora il Comune la abbia omessa, si ammette in giurisprudenza che la lacuna sia colmabile anche per intervento dalla Soprintendenza, il tutto nell’ovvio intendimento di semplificare l’iter a beneficio dell’istante in caso di mancanze degli enti procedenti.
Senonché, nel caso di specie, l’istante coincide con il Comune il quale, per altro facendosi carico di una ben dubbia posizione a serio rischio di conflitto di interessi, ha omesso le proprie preliminari attività di verifica ed istruttoria e formulato una istanza ampiamente lacunosa dal punto di vista documentale; l’ente pretenderebbe, in questa sede, di imputare alla Soprintendenza di non avere attivato il contradditorio procedimentale con il Comune su una carenza che, in principalità, proprio al Comune si imputa. Paradossale poi che il Comune imputi alla Soprintendenza presunte carenze istruttorie.
Ne deriva l’evidente contraddizione, e quindi inammissibilità prima ancora che infondatezza, della censura sullo specifico punto.
Si aggiunga che il Comune sostiene, nelle proprie difese, che, ove sollecitato, avrebbe potuto dimostrare, in fase procedimentale, di avere acquisito in via bonaria tutte le aree interessate; solo per l’udienza di discussione il Comune ha depositato una serie di elenchi in cui figurano i nominativi dei proprietari delle aree corredati, in alcuni casi, della sottoscrizione di un atto di sottomissione volto non all’acquisizione della proprietà, quanto piuttosto alla costituzione di una servitù. A prescindere dalla diversità del titolo rispetto a quanto allegato in ricorso, dalla mancanza di data apposta accanto alle singole firme e dalla doppia datazione/protocollo nell’incipit dei documenti, scorrendo gli elenchi depositati ai docc. 43 e 45 lo spazio destinato alla firma, in molti casi, è lasciato in bianco (a mero titolo esemplificativo il mappale n. 46 è intestato a molti soggetti buona parte dei quali non hanno apposto alcuna sottoscrizione); ne deriva che neppure nel presente giudizio si rinvengono atti idonei a fondarne l’integrale legittimazione del Comune a presentare l’istanza.
Se tanto esporrebbe la censura tutta a possibili ulteriori profili di inammissibilità, ad abundantiam, per quanto poi concerne l’impossibilità di sanare la tipologia di abuso commesso, stante la non applicabilità dell’accertamento di conformità alla fattispecie per cui è causa espressa dalla Soprintendenza, la giurisprudenza corrobora la tesi dell’amministrazione (Cons. St. sez. III n. 312/18); quanto alla problematica dell’instaurazione del contraddittorio sullo specifico aspetto di sanabilità o meno dell’intervento, non può non osservarsi che, pur in mancanza di una formale intestazione dell’atto quale preavviso di rigetto, già nella comunicazione dell’31.7.2023 (doc. 17 di parte ricorrente) indirizzata dalla Soprintendenza al Comune di Macugnaga si legge: “si chiede a codesto Comune di verificare l’effettiva rispondenza del caso in esame alle fattispecie descritte dagli artt. 167 comma 4 lett. a) e 181 comma 1-ter lett. a) del citato D.Lgs. 42/2004, con particolare riferimento alla creazione di superfici utili o volumi ovvero all’aumento di quelli legittimamente realizzati”, sostanzialmente sollecitando il destinatario (una pubblica amministrazione dotata di deleghe di competenza in materia) a verificare se l’attività posta in essere (in quella fase sostanzialmente non valutabile perché, come si evince dallo stesso documento, la richiesta era stata avanzata senza elaborati grafici di confronto tra l’autorizzato e il realizzato) ricadesse nell’ambito applicativo della norma; pare allora alquanto formalistico che il Comune si proclami inconsapevole della necessità di prospettare che l’intervento fosse contemplato dalla norma di sanatoria.
Resta il fatto che non lo è e che, anche per questo aspetto, il preavviso di rigetto non avrebbe mutato il corso del procedimento.
In definitiva il Collegio ritiene, in principalità, che sia più aderente al procedimento intestare al Comune e non alla Soprintendenza l’onere di complessivamente rappresentare all’istante le possibili ragioni ostative ad una favorevole conclusione del procedimento e che, in ogni caso, data la peculiarità del contesto, la doglianza appaia in parte radicalmente inammissibile e in parte infondata.
Con il secondo motivo di ricorso si sostiene che, sull’istanza, si sarebbe formato il silenzio assenso, assumendo apoditticamente un termine di durata del procedimento pari a 30 giorni, che vengono fatti decorrere dal 16.6.2023.
Quanto al termine a disposizione della Soprintendenza, l’art. 167 co. 5 del d.lgs. n. 42/2004 lo fissa in 90 giorni.
Quanto al dies a quo, come già evidenziato, il 16.6.2023 non era neppure comprensibile quale istanza il Comune avesse avanzato alla Soprintendenza; quella che infatti in ricorso viene qualificata come richiesta di integrazione documentale relativa ad una “domanda di accertamento di conformità”, altro non è che la nota con la quale la Soprintendenza rappresentava al Comune l’anomalia di avere qualificato variante (e non accertamento di conformità) una istanza (per altro priva di idoneo corredo documentale) avente ad oggetto attività già esaurite; in sintesi, al 16.6, neppure era stata avanzata una istanza di accertamento di conformità.
Ancora nella successiva nota del 22.6 il Comune persiste nell’ambigua individuazione dell’istanza ad un tempo quale autorizzazione in variante e accertamento di conformità; persistono le carenze documentali. Trattasi di istanze che, a prescindere dall’applicabilità o meno al caso di specie dell’istituto, certo non sarebbero idonee, in fatto prima che in diritto, a far scattare un silenzio assenso.
A tutto concedere, come evidenziato dalla difesa erariale, il termine può farsi decorrere dal 6 luglio, quando il Comune di Macugnaga ha trasmesso alla Soprintendenza una relazione illustrativa con proposta motivata di provvedimento; l’atto impugnato, del 4 ottobre, è dunque tempestivo rispetto a tale istanza.
Si aggiunga che risulta complessa a tutt’altro che univoca la problematica dell’applicabilità stessa del meccanismo silenzio assenso al procedimento di accertamento di conformità; la giurisprudenza invocata in ricorso ha infatti analizzato il diverso procedimento di autorizzazione paesaggistica acquisita ex ante che, ex lege, prevede la completezza dell’istruttoria e financo la predisposizione di una proposta di provvedimento da inoltrare alla Soprintendenza (art. 146 co. 7 del d.lgs. n. 42/2004) idonea a far decorrere il termine, circostanza che, nel caso di specie, a tutto concedere, si è appunto verificata il 6 luglio, con conseguente tempestività dell’atto impugnato.
Tantomeno è pertinente la giurisprudenza depositata per l’udienza di discussione, avente ad oggetto l’installazione di infrastrutture di telecomunicazione che beneficiano di una normativa ad hoc e rivestono un interesse pubblico e un livello di impatto certamente non paragonabile a quello di diversi chilometri di una pista ciclabile.
Ne discende la palese infondatezza del secondo motivo di ricorso, che implica altresì l’infondatezza del terzo e quarto motivo, in quanto, non essendosi formato alcun silenzio assenso, non vi sono i presupposti per ritenere inefficace il provvedimento adottato dalla Soprintendenza né quelli per invocare un dovere di autotutela.
Il quinto motivo di ricorso appare una riproduzione di contestazioni cui si è già in gran parte risposto nell’analisi del primo motivo; residua la tesi per la quale le modifiche poste in essere in fase esecutiva sarebbero di scarso rilievo. Oltre all’assoluta mancanza di prova sul punto (e sempre ricordando che l’analitico rilievo della consistenza dell’abuso sarebbe stato atto istruttorio incombente sul Comune, in questo caso nella veste di soggetto richiedente l’accertamento di conformità), non può non evidenziarsi come risulti dalla relazione di sopralluogo del 7.9.2023 redatta dalla Guardia di Finanza nell’ambito del parallelo procedimento penale e corredata di dati grafici, l’evidente difformità tra l’autorizzato e il realizzato, entrambe ivi rappresentati, nonché la larghezza del percorso (pari a circa 2.50 mt) che, di fatto, lo rende praticabile non solo da una bicicletta ma anche da veicoli fuori strada; sempre dalla relazione si ricava che mancano manufatti idonei a impedire il percorso alle automobili.
Contrariamente a quanto sostenuto nei motivi aggiunti di ricorso (sui cui infra) non si tratta certo di valutazioni opinabili ma di circostanze di fatto (forma, larghezza, conformazione del tracciato), da cui si evince che, autorizzato un tracciato per e-bike, è stato invece realizzato un percorso potenzialmente carrozzabile, con tutto ciò che lo stesso comporta in termini di impatto; si aggiunga che anche la circostanza, evidenziata in ricorso, per cui il tracciato sarebbe meno tortuoso e dunque piò corto in termini assoluti di quanto previsto, non giova al ricorrente ma se mai corrobora la contestazione che se ne è voluta agevolare la percorribilità da parte di automobili le quali, evidentemente, non possono di norma percorrere i tortuosi sentieri destinati in esclusiva alle mountain-bike.
Da ultimo parte ricorrente sostiene che la variante sarebbe tollerabile in quanto rientrerebbe, ai sensi dell’art. 149 del d.lgs. n. 50/2016, nel concetto di variante esecutiva del contratto di appalto; sfugge la pertinenza della norma in quanto, fatta salva l’assonanza linguistica del termine variante, la disciplina delle varianti nell’esecuzione dei contratti di appalto non ha alcuna rilievo al fine di valutare l’impatto delle varianti urbanistico-edilizie.
Ne consegue la complessiva infondatezza del ricorso principale.
Il primo atto di ricorso per motivi aggiunti è poi, come eccepito dalla difesa erariale, inammissibile, essendo stati impugnati due documenti (relazione istruttoria redatta dalla Guardia di Finanza nell’ambito del procedimento penale e corrispondenza difensiva dell’avvocatura erariale scambiata nell’ambito del tentativo infruttuoso delle parti di trovare una soluzione condivisa) che non hanno alcuna valenza provvedimentale. Si aggiunga la palese distorsione nella lettura dell’ordinanza di questo TAR proposta da parte ricorrente, che assume che il Tribunale, che ha semplicemente concesso alle parti un termine per valutare soluzioni in via amministrativa, plausibili a detta di parte ricorrente, avrebbe addirittura “imposto” il raggiungimento di una soluzione conciliativa che, per altro, la parte ricorrente sembra far coincidere con i propri desiderata.
Il secondo atto di ricorso per motivi aggiunti appare improcedibile alla luce del rigetto del ricorso principale; oltre a contenere censure in via derivata, già respinte, si contesta un atto con il quale la Soprintendenza ha, di fatto, semplicemente ribadito la propria posizione sull’inammissibilità dell’istanza del Comune, con connesso dovere di quest’ultimo di concludere negativamente il procedimento condizioni che, stante il rigetto del ricorso introduttivo, risultano in effetti già indotte dal consolidamento dell’atto impugnato con il ricorso introduttivo.
Le censure tutte appaiono quindi o inammissibili o manifestamente infondate.
Le spese seguono la soccombenza.
Considerato che dagli atti emerge una grossolana mala gestio dei finanziamenti conseguiti e del procedimento, oltre ad una ingiustificata inerzia del Comune nel porre rimedio all’abuso commesso e nel gestire una potenziale situazione di conflitto di interessi, nonché un possibile problema di danno ambientale, si dispone la trasmissione di copia della presente decisione alla Procura Regionale della Corte dei conti del Piemonte, per quanto di eventuale competenza.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto,
respinge il ricorso principale;
dichiara inammissibile il primo ricorso per motivi aggiunti;
dichiara improcedibile il secondo ricorso per motivi aggiunti;
condanna parte ricorrente a rifondere a parte resistente le spese di lite, liquidate in € 8000,00 oltre accessori di legge;
manda alla segreteria di trasmettere copia della presente decisione alla Procura Regionale della Corte dei conti del Piemonte.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Torino nella camera di consiglio del giorno 25 settembre 2024 con l'intervento dei magistrati:
Raffaele Prosperi, Presidente
Paola Malanetto, Consigliere, Estensore
Luca Pavia, Referendario
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L'ESTENSORE |
| IL PRESIDENTE |
Paola Malanetto |
| Raffaele Prosperi |
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IL SEGRETARIO