domenica 19 giugno 2022

URBANISTICA PIEMONTESE ALLA SVOLTA






Vi forniamo questo contributo, non certo la pretesa di scrivere la storia di 50 anni di urbanistica in Piemonte, ma una riflessione libera aperta ai vostri contributi. Il testo che appare non impegna il Consiglio Regionale di Italia Nostra, ma è l'espressione di un suo solo componente che non vi chiede di sottoscrive alcunché, ma solo di leggere, grazie


Presto anche ciò che residua della legge urbanistica Piemontese, quella denominata " Astengo" dal nome del Professor Assessore che alla metà degli anni 70, allora con coraggio, riuscì nel quasi miracolo di farla approvare, presto si diceva andrà in pensione, sostituita da quella che sarà la nuova legge regionale. Certo, dopo infinite modifiche, ben poco è rimasto dell'impianto originario di quella legge che, all'epoca, aveva fatto tanto clamore e aveva sollevato scandalo anche nelle amministrazioni locali chiamate, per prime, ad osservarla ed applicarla. Certamente si sono fatte tante cose perché i buoni propositi rimanessero tali, sostituiti, via via, da una prassi, appunto più pragmatica, che, insieme alle tante modifiche di cui abbiamo fatto cenno ha alleggerito la severità dell'impianto. Quella legge cadeva in un'epoca di espansione dell'edilizia speculativa che sfruttava una domanda di mercato per seconde, ma anche prime residenze, domanda che prendeva di mira ambiti pregiati del territorio che, per lo più, sino al momento della legge era sprovvisto di strumenti urbanistici adeguati. La legge cercava un' argine a quell'espansione e i suoi primi intenti furono indirizzati all'obbligo di perimetrazione dei centri storici e dei centri edificati. In attesa dei nuovi strumenti urbanistici, da formarsi secondo i nuovi criteri previsti dalla legge stessa, quelli erano i confini dai quali non si doveva uscire con il costruito e con il costruire. L'intento era che i nuovi strumenti urbanistici venissero redatti e approvati nel rispetto, non solo dei principi, ma anche delle norme sulla loro formazione che la legge si era preoccupata di dettare. L'espansione, contenuta, del futuro la si voleva costruita con l'ordine di un procedere per soglie, per gradi, senza strappi o fratture nel territorio, accompagnando il costruire con l'urbanizzare che gli oneri di edificazione avrebbero dovuto garantire, anche attraverso l'uso diffuso della strumentazione urbanistica attuativa. Il "congelamento" dei centri storici doveva poi essere la premessa per il loro attento recupero, anche in questo caso accompagnato da strumenti attuativi quali lo erano i piani, appunto di recupero. A monte dell'espansione, le analisi preliminari per la formazione degli strumenti urbanistici, dovevano essere la premessa di una corretta previsione.
Certo, la legge non è tutta qui; c'era la visione di una pianificazione a maglie di diverse ampiezze che, alla fine, partendo dalla pianificazione territoriale regionale, si stringesse sempre più, sino a chiudersi con lo strumento urbanistico locale (privilegiati quelli intercomunali, ma pochi quelli realizzati) dove lì si attuasse il punto di caduta di tutto il castello pianificatorio. Un disegno ambizioso, forse meglio dire coraggioso, un dettato normativo coerente, certo un passo avanti rispetto a quello che era allora il comune medio sentire delle amministrazioni locali, destinatarie ultime del messaggio.
Sono passati quasi 50 anni e come sia andata non è facile rispondere. Il tempo è lungo e in quel tempo lungo l'economia è cambiata, ma è cambiata anche la demografia, così come è cambiata la cultura e per cultura intendiamo qui il gusto del consumatore per il bene fisico e materiale che è una casa di abitazione. L'espansione delle residenze, prime o seconde che fossero, ha pian piano ceduto il passo, complice anche la caduta demografica ( che continua); la pressione sulle amministrazioni locali si è allentata, pur lasciando un retroterra bruciato ( si potrebbero fare degli esempi) dove il picco espansivo di quel tempo si traduce oggi nella caduta, altrettanto a picco, dei valori immobiliari dentro un mercato stagnante. Ma la fine, o quasi, della stagione delle case, ha ceduto il passo ad un altro momento della vita economica. La crisi industriale, o meglio della grande industria, si è accompagnata alla rivoluzione del mercato di prossimità. La grande distribuzione si afferma in maniera totalizzante, chiede grandi spazi, chiede nuovi luoghi di insediamento per intercettare il consumatore motorizzato, esce anche dagli ambiti urbani laddove non ritenga reinsediarsi sui luoghi della grande industria e la maglia urbana si dilata ben oltre la teoria delle "soglie", si sfrangia il rapporto costruito/non costruito, si ergono nuovi "non luoghi", indistinti e omologati, mentre la desertificazione commerciale avanza dentro le "mura" urbane, in un paradossale rovesciamento del rapporto città/ campagna. Ma non è solo la città a farne le spese, sono i borghi a morire: svuotati dalla caduta demografica, dalla chiusura dei servizi, dalla concorrenza impossibile della grande distribuzione, dai gusti culturali che prendono il sopravvento. Ma anche la grande distribuzione ha le sue crisi, insieme a quelle interminabili e intermittenti dell'industria. Sul terreno conteso ne rimangono i segni: i luoghi occupati dai capannoni deserti dei mercati e gli spazi vuoti dell'industria fallita. Come se fosse passata una guerra. Ma nonostante ciò, l'espansione non si allenta, si dilata, si allunga, trasforma le vie interurbane in urbanizzazioni esterne, in reti di servizio, di connessioni continue dove, la logistica, la parola che evoca la nuova espansione che dall'oriente la si vorrebbe approdare in occidente, reclama l'urgenza di nuovi compulsivi consumi di suolo, ancora più grandi di quelli della grande distribuzione prima maniera, più dinamici, più aggressivi e in nome della crescita il via libera è assicurato.
Il nuovo avanza e il passato muore: muore nei borghi collinari emarginati, muore in quelli montani non aggrediti dal turismo industriale e in quelli aggrediti perché stravolti, muore in quelli di pianura, piegati dalla demografia in caduta libera, muore nella città impoverita dietro le serrande abbassate del commercio di vicinato espulso, e dei servizi diffusi chiusi per vendita o per affitto: improbabili. Tutto si sposta sulla rete dove Amazon è pronta a soddisfare a domicilio ogni bisogno e la materialità della città si trasforma nella immaterialità della rete capillare.
Dov'è andato il Professor Astengo ? L'abbiamo lasciato intento a costruire la sua rete diffusa della pianificazione programmatica, il suo disegno dentro il quale tutto doveva starci, dove tutto doveva inserirsi come il tassello di un puzzle del Piemonte in crescita: ordinato e regolato. Il piani regolatori, in effetti, sono poi venuti tutti, certamente, ma le analisi preliminari, molte volte, li hanno falsati. Mentre già la demografia cadeva, si immaginava un' espansione immobiliare fuori scala, sovrastimata e così, quelle previsioni farlocche hanno ucciso i borghi, svuotati dalla loro gente in fuga verso la campagna circostante: le zone di nuovo insediamento. Non proprio come il Professore avrebbe voluto. Sono venuti anche i piani esecutivi, quelli che avrebbero dovuto garantire che l'urbanizzazione avanzasse insieme al costruendo, ma poi la pratica invalsa delle monetizzazione ha incominciato a farsi strada, facendo diventare questi piani non tanto un modo intelligente di realizzare il nuovo, ma un modo poco intelligente per incassare soldi. Nessuno sembrava accorgersi che mentre il nuovo avanzava il vecchio decadeva e così i decenni sono passati disegnando una geografia urbana diversa dalle sue origini, sempre più sfrangiata, sempre più dilata. Il rigore delle definizioni degli interventi edilizi incominciava a perdersi in descrizioni più sfumate, l'una definizione confondendosi nell'altra con buona pace dei piani di recupero del costruito storico, ormai diventato uno strumento desueto, pressoché inutile scavalcato dai piani casa, dalle deroghe provvisorie, ma senza scadenza, dalla definizione degli interventi edilizi ormai saltata completamente.
Inorriderebbe il Professore a leggere alcuni testi di legge, che sia il legislatore nazionale o quello regionale a scriverli: le deroghe, i bonus, i decolli e gli atterraggi volumetrici, le procedure accelerate speciali, le Scia, le autodichiarazioni di conformità, dulcis in fundo le riqualificazioni edilizie e le rigenerazioni urbane, tutto spostato dal pubblico, non più attore, al privato decisore concertato e i piani urbanistici generali svuotati, ribaltati nel loro contenuto, non più strumenti di certezza e di diritto, ma di incertezza e di discrezionalità legale e riconosciuta.
Troviamo di tutto: le ville con piscina nelle aree boscate, passate per recupero di un capanno o residenza di chi coltiva che cosa ? Un palazzo in area cimiteriale con due bonus alle sue spalle, passato per recupero, la ristrutturazione edilizia scambiata per la costruzione di un nuovo palazzo, invocando la sostituzione con il bonus; capannoni ovunque e dovunque, pieni o vuoti, attivi o inattivi; grande distribuzione distribuita a pioggia e adesso avanti con la logistica, altre che non consumo di suolo, consumano tutto.
L'ultimo tassello che sta per saltare, tassello assente ai tempi del Professore , è quel PPR che, questo sì avrebbe dovuto inserirsi virtuosamente nel disegno programmatorio generale tanto caro ad Astengo. Ebbene che ne parla più. Vedremo che fine gli faranno fare gli ultimi legislatori regionali.

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