venerdì 28 settembre 2018

INTERCONNECTOR

I

interconnector? Non si può fare!
24 settembre 2018 7 Comments 2


Le perizie di Salviamo il Paesaggio Valdossola, eseguite secondo un metodo messo a punto da ARPA Piemonte, silurano il superelettrodotto di Terna, del quale anche GognaBlog si è occupato l’11 aprile 2017 (http://gognablog.com/interconnector/)

Salviamo il Paesaggio Valdossola è in lotta dal 2014 contro il più grande eco-mostro d’acciaio e cemento che Terna e i sostenitori del “progresso-a-qualunque-costo” vorrebbero far passare per la Valdossola sopra le montagne più belle della dorsale lepontina orientale, che va dall’Alta Formazza al Lago Maggiore, via Passo San Giacomo, pendici del Basodino, laghi del Toggia, Boden, Castel, Nero, lago Superiore, Cramec, Corona Troggi, Groppo, Pizzo Pioda, Cravariola, conca di Matogno, Agarina, i confini occidentali del Parco nazionale della Val Grande, la Riserva di Fondotoce, le pendici del Mottarone che guardano il Lago Maggiore, le colline novaresi del buon vino e del Parco dei Lagoni, la Riserva della biosfera del Ticino piemontese e lombarda, la zona dei fontanili e infine il Parco agricolo Sud Milano. Una linea elettrica aerea in altissima tensione (THT dicono i francesi) cioè a 380.000 Volt, in buona parte ex novo, per l’altra con una nuova serie di piloni più alti e adatti al trasporto di elevatissime potenze.



Occorre considerare che è stata riconosciuta l’interferenza dei tracciati di questo superelettrodotto con più di 50 sentieri escursionistici, censiti dal CAI, in buona parte internazionali, come il GTA, il Sentiero Italia, il Gran Tour Walser, l’alta Via Alpina e tutti gli altri. Bocchette e passaggi in quota come quella della Fria non saranno più le stesse perché il progettista ci piazza i suoi tralicci nei punti più alti di scavallamento orografico. Tralicci alti fino a 71,50 metri!

L’opera al momento è ferma al Ministero dell’Ambiente e presso le commissioni tecniche di Lombardia e Piemonte per lo studio di VIA.

Dopo la terza Ripubblicazione di integrazioni (volontarie di Terna), Salviamo il Paesaggio Valdossola ha inviato le sue Osservazioni di rito. E questa volta è forte di uno studio (realizzato con collaboratori ed esperti secondo un metodo messo a punto da ARPA Piemonte) che non lascia scampo al progetto: criticità eccezionale! Praticamente l’opera non è né presentabile, né fattibile, se non con un altro progetto, ad esempio l’interramento.



Interconnector? Non si può fare!
di Filippo Pirazzi e Sonia Vella
(referenti Comitato Salviamo il Paesaggio Valdossola)

martedì 18 settembre 2018

STRESA: LE VILLE DELL'OBLIO




Continua l'attenzione e l'interesse di questa sezione dell'Associazione per lo stato di degrado delle ville di Stresa. Questa volta e un'altra volta ancora, torniamo, con la lettera che vi postiamo, a sollecitare gli Enti, Soprintendenza e Comune, a svolgere a pieno il loro ruolo. Quanto alla proprietà non possiamo che constatare il disinteresse per la conservazione, ma questo disinteresse non deve assolutamente contagiare anche gli enti pubblici. Non ci rimane che insistere. Vedremo.




   

lunedì 17 settembre 2018

STRESA: LE MACHERE



Per chi si imbatte in questo blog la storia non è nuova. Trascorsi che sono stati quattro mesi da quando abbiamo posto, nuovamente, la questione in forma scritta, l'Ente Regione ci ha dato una lunga e articolata risposta. Vi esento dalla sua integrale lettura e ne do una rapida sintesi. In breve la Regione, Servizio paesaggio, dopo aver nel dettaglio spiegato quali sono i criteri che debbono essere presi in considerazione nella individuazione dei rii soggetti a fascia di vincolo di paesaggio, afferma che la questione dei rio Machere non avrebbe ancora trovato una sua soluzione. Al momento non sarebbe ancora chiaro se tale rio appartenga o meno all'elenco delle acqua demaniali soggette a vincolo. In altre parole ancora non sarebbe stata  risolta la questione se il rio villa Fulvia, presente in elenco, sarebbe o meno lo stesso rio Machere o Falchetti, diversamente nominato a seconda delle mappe in cui viene rappresentato. Conclude quindi la nota regionale che in attesa di contributi chiarificatori, la questione non è chiusa. Questo è dunque il sunto della nota, ma la nostra attenzione si è spostata sulla deliberazione della Giunta Regionale che, qualche mese fa, aveva cancellato l'errata individuazione del rio Machere con il rio Le Sale. Orbene, in quella delibera la questione era stata, al contrario, esattamente risolta come vi documento nello stralcio di quella delibera che posto qui sotto. Insistere quindi da parte del Servizio Regionale che l'identificazione non è ancora compiuta, si rileva una svista abbastanza clamorosa in cui gli estensori della nota a noi inviata non avrebbero dovuto cadere. Inutile aggiungere che abbiamo, con la lettera che vi postiamo, fatto rilevare l'errore. Attendiamo ora un definitivo ulteriore chiarimento che, salvo dover riscrivere la delibera, dovrà riconosce che la nostra tesi è quella esatta e che le opere edilizie eseguite sono prive di autorizzazione paesaggistica, con le conseguenze che il caso richiede. Vedremo.













giovedì 13 settembre 2018

SITO UNESCO







Dopo la nostra iniziativa del maggio scorso, ora rilanciamo il problema con questa lettera indirizzata ai primi interessati. E' il frutto degli approfondimenti acquisiti in questo periodo e che ci ha determinato a insistere con questa proposta che se avrà il limite di essere minimale rispetto alla proposta presentata nel 2006 , ma poi non perseguita, ha invece suo punto forte in quello della effettiva percorrabilità in tempi ragionevoli e forse anche brevi.


lunedì 10 settembre 2018

"AVVICINARE LE MONTAGNE" L'OPINIONE

Postiamo qui nel seguito quanto scrive Toni Farina a propositi del progetto " Avvicinare le montagne" . Non vogliamo con questo sposare alcuna tendenza o giudizio riguardo gli orientamenti e i destini di una particolare parte politica, ma l'autorevolezza della fonte, conosciuto esponente della galassia ambientalista regionale e consigliere di amministrazione del Parco Nazionale del Gran Paradiso, ci determina a pubblicare quanto scrive a proposito del progetto Devero. 

Il paradosso dell’Alpe Devero (e il suicidio del PD)MW Italia 13 agosto 2018 Editoriale













di Toni FarinaToni Farina
L’Alpe Devero


Prendi un luogo splendido, simbolico, che non avrebbe bisogno d’altro che di proseguire sulla strada intrapresa. Prendi quel luogo e immagina invece un progetto contrario, che ne stravolge l’identità.
Identità che, si badi bene, ha pagato anche in termini economici.
Che dire? Un segno dei tempi? Un paradosso, comunque.
L’accordo di programma “Avvicinare le montagne” riguardante il collegamento Alpe Ciamporino-Alpe Devero, in Ossola, è davvero paradossale. A leggerlo pare uno scherzo.Alpe Devero
Quarant’anni di natura protetta


Si appresta a celebrarli (se così si può dire) il Parco naturale dell’Alpe Veglia, poi ampliato con la gemella Alpe Devero. Accadrà a Villadossola sabato 20 ottobre. Un convegno dal titolo “I parchi naturali per una nuova etica della montagna”.
Titolo non casuale, che calza a pennello, ma (a parer mio) con un “nuova” di troppo. Etica e basta sarebbe stato più opportuno, considerati i quattro decenni di vita (e considerate le quasi 100 candeline del Gran Paradiso).
Ma soprattutto l’unica, un’altra etica non è data.
Parteciperà all’evento il più giovane Parco nazionale Val Grande, che spegnerà 25 candeline. L’unione fa la forza, che di questo tempi è davvero necessaria.
Quaranta anni dunque. Correva l’anno 1978 quando la Regione Piemonte si apprestava a dare corpo e sostanza al sistema dei parchi naturali con
l’istituzione delle prime 6 aree protette. Presidente Aldo Viglione, assessore
Luigi Rivalta. Storia, ormai.
Fra queste rientrava l’Alpe Veglia, “gemma verde” delle Alpi Lepontine.
Il “sistema Piemonte” delle aree naturali protette divenne un caso, un esempio, su scala nazionale e continentale. Storia, ormai.
Le eccellenze ambientali della regione messe in rete, senza fare distinzione fra eccellenze naturalistiche e storico – architettoniche. Una rete che avrebbe dovuto estendersi, e in parte accadde. In parte…
Quel processo però si arrestò. Ma soprattutto si arrestò il processo innovativo che vedeva i parchi quali laboratori di sostenibilità ambientale, luoghi non chiusi, ghettizzati, ma aperti per portare il loro verbo all’esterno, con il fine di creare davvero una rete ecologica e culturale.
Tale processo si è arrestato soprattutto nelle zone più integre sotto il profilo
ambientale: le montagne, l’arco alpino. Dove l’imaginario comune colloca in
genere i parchi naturali ma dove, a pensarci bene, tale processo, salvo
eccezioni, non è mai davvero iniziato.
Quel che accade in Ossola lo dimostra.
Il suicidio del PD


Il caso “Alpe Devero” sintetizza in modo perfetto la crisi di identità di questa forza politica a cui molti cittadini hanno affidato le speranze di un futuro all’insegna del progresso, civile e ambientale. Un futuro sostenibile, come si usa dire.
E invece questa forza politica va in direzione contraria. “Ostinata e contraria”.
Che il PD da tempo non dia segnali esaltanti in materia ambientale è lampante.
La linea è: contraddizioni a manetta. Nel caso “Devero” poi, la difficoltà ad assumere posizioni nette assume connotati appunto paradossali.
La paura di perdere voti (già persi) conduce il PD su una strada priva di sbocchi. In palese contraddizione da un lato con normative di fresca approvazione regionale, e dall’altro con gli strombazzati enunciati sulla sostenibilità dei modelli di futuro.
I modelli “smart”, la montagna 4.0, l’innovazione.
Già, l’innovazione. Dove sta l’innovazione nel futuro della montagna?
Nell’appendersi a favolistici progetti di demaine skiable fuori tempo massimo?
O piuttosto nel riprendere la strada interrotta, ben indicata nelle leggi istitutive nelle aree protette. Non c’è da inventare nulla, gli esempi non mancano.
Avvicinare le montagne con le funivie? Allontanare gli elettori dal PD…
Avvicinare le montagne…Codelago Foto: Sergio Ruzzenenti


… allontanare il progresso. Tornare indietro nel tempo.
Credo sia accaduto a molti. Ti affacci dalla Scatta Minoia e lo sguardo si allunga sulla Val Buscagna, il Grande Ovest di Devero. L’impressione netta è di spazio, di distanze, di lontananze. E non diversa è l’impressione dalla Scatta d’Orogna: lo sguardo corre libero a oriente su lariceti e pascoli, e la Scatta Minoia ti appare lontana, remota quasi.
Grande Est, Grande Ovest, le suggestioni di Devero. Lo spazio, inusuale per la montagna piemontese, è la dimensione di questa montagna. La lontananza ne rappresenta l’anima profonda.
Avvicinare le montagne? Di cosa stiamo parlando? L’esperto di marketing turistico che ha coniato lo slogan evidentemente non ha mai provato l’esaltante esperienza di collegare i due estremi affidandosi al mezzo di locomozione per eccellenza: le gambe. Dalla Scatta d’Orogna alla Scatta Minoia, e la piana in mezzo. Un comprensorio escursionistico fra i più interessanti delle Alpi, apprezzato da molti. Le oltre 68.000 mila firme raccolte finora dalla petizione “Salviamo l’Alpe Devero” ne sono limpida testimonianza.
Per dirla in “turistichese”, la distanza è il brand di Devero. Il progetto prospettato nell’accordo di programma fra la Società San Domenico e la Provincia del VCO rema contro. Avvicina le montagne, allontana i clienti. Uccide il mito.


Toni Farina

    venerdì 7 settembre 2018

    APPUNTAMENTI E NEWS



    Aree dell'Ossola e Alpe Devero Workshop con Pixcube! 

    Sono aperte le iscrizioni per poter partecipare all'emozionante workshop fotografico organizzato da Pixcube.it nelle aree protette del Parco e dell'Alpe Devero!

    SABATO 20 OTTOBRE (12:00 - 23:30) - DOMENICA 21 OTTOBRE - (6:00 - 14:30)
    UN ESCLUSIVO NUOVO APPUNTAMENTO "COORDINATO CON ENTE PARCO, PER CONOSCERE E FOTOGRAFARE LA SCENOGRAFIA DELL'ALPE DEVERO" 


    Questo workshop fotografico è aperto a tutti per apprendere sul campo le tecniche selezionate. I partecipanti saranno affiancati dal(i) professionista(i) selezionato(i) per l'evento. Si alternano esercizi a sedute di commento e condivisione delle scelte e suggerimenti del professionista. E' richiesta una conoscenza minima della propria macchina fotografica.

    E' possibile partecipare con qualsiasi macchina fotografica.
    COSTO €185 A PERSONA
    Comprende:
    1) Tutte le lezioni didattiche teoriche e pratiche sul campo, con extra contenuti
    2) Accompagnatore e personale selezionato dal Parco (se non è indicato extra guida)
    3) tecniche di ripresa fotografiche con il professionista Nikon School da noi selezionato
    4) attestato di partecipazione ufficiale al workshop personalizzato
    5) Gadget e prodotti offerti da Nikon Italia e partners pixcube.it
    6) Coupon Sconto su linee prodotti dei principali partners ufficiali
    7) attività di post workshop con creazione di siti personalizzati per la ricezione e commento delle foto e gruppo ufficiale Facebook

    Prenotazioni e maggiori info: pixcube.it

    AGGIORNAMENTI DAL PARCO 






    Domenica 2 settembre
    Inaugurato sui monti di Veglia il nuovo 
    bivacco alpinistico “B. Farello”
    E’ stato inaugurato sui monti dell’alpe Veglia il nuovo Bivacco delle Guide “Beniamino Farello”. Voluto dal Parco Naturale Veglia Devero, anche come occasione celebrativa dei 40 anni di istituzione del primo parco naturale del Piemonte, il bivacco sostituisce l’ormai vetusto bivacco “Farello” precedentemente posizionato alla Bocchetta d’Aurona e non più consono alle normative attuali in quanto realizzato in cemento d’amianto secondo superati modelli degli anni ’70 del Novecento.
    “Essendo il vecchio bivacco posizionato a 15 minuti dalla “Cabane Monte Leone” gestita dal CAS con funzioni di alberghetto, in accordo con il CAI di Varzo, abbiamo ritenuto di posizionare il nuovo bivacco nella conca delle Caldaie, in un luogo quanto mai remoto e selvaggio, al fine di sviluppare l’arrampicata sportiva sulle pareti della zona e di agevolare la salita a Passo di Boccareccio e all’Helsenhorn”. Commenta con soddisfazione Paolo Crosa Lenz, presidente delle Aree Protette dell’Ossola. “Il nuovo bivacco rientra in un più ampio progetto di eliminazione di strutture vetuste con l’obiettivo di certificare a livello europeo le Alpi Pennine e Lepontine “amianto free” in breve tempo”. 
    L’iniziativa, realizzata con fondi del PSR 2016-2020, ha visto la collaborazione amministrativa dell’Unione Montana Alta Ossola, presente all’inaugurazione con il presidente Bruno Stefanetti, anche sindaco di Varzo. In una bella giornata di sole, in due ore da Veglia sono saliti gli alpinisti ad inaugurare la struttura, internamente in legno e grazie ad un pannello solare dotata di illuminazione e prese USB per ricaricare cellulari e computer. Una nuova frontiera dell’accoglienza in montagna, moderna, salutare e di nuova concezione. Alla cerimonia hanno partecipato il vice presidente del Parco Marco Valenti e il presidente della sezione di Varzo del CAI Massimo Galletti. Erano presenti le guide alpine Aldo Del Pedro, che ha scritto pagine importanti della storia alpinistica di Veglia, ed Alberto Giovanola, tra i promotori dell’arrampicata moderna sul Pizzo delle Piodelle, le cui pareti in larga parte ancora da esplorare sovrastano il bivacco Il bivacco offre nove posti letto più quattro di emergenza ed è intitolato a Beniamino Farello, guida alpina di Varzo caduto durante un’ascensione sul Dent de Midi in Svizzera nel 1960. 





    martedì 4 settembre 2018

    AVVICINARE LE MONTAGNE



    Alpe Devero: avvicinare le montagne?
    2 settembre 2018 10 Comments 9


    Alpe Devero: avvicinare le montagne?
    di Alberto Paleari
    (già pubblicato da www.mountainwilderness.it il 24 marzo 2018)

    Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)

    Per gli inglesi che nella seconda metà dell’Ottocento inventarono l’alpinismo le Alpi erano “il cuore selvaggio dell’Europa”, ora sulle Alpi ci sono 12.000 km di impianti di risalita, e non bastano ancora: secondo il progetto di espansione della San Domenico Ski fra qualche anno se ne aggiungeranno 11,5. Una goccia nel mare? Forse, ma questi nuovi impianti dovrebbero essere costruiti in uno dei pochi santuari alpini dove la natura è rimasta com’era nell’Ottocento: il parco naturale Veglia-Devero.

    Parco Veglia-Devero. Foto: Luigi Ranzani

    In una situazione come quella odierna in cui le zone selvagge sulla carta geografica delle Alpi si sono ridotte a poche macchioline, “avvicinare le montagne” (con la costruzione di altri impianti di risalita) non ha alcun senso: semmai le montagne andrebbero allontanate. Gran parte della loro bellezza, infatti, deriva dalla lontananza, dall’essere inavvicinabili, dal mistero, dall’aura di sacralità che le circonda: le montagne più belle sono quelle che non riusciamo a salire e non è un caso che il sogno, spesso realizzato, di molti turisti, viaggiatori e alpinisti sia di andare in Patagonia, in Himalaya o chissà dove, quando le montagne le avrebbero a poche ore di auto o di treno dalle loro città.
    Ma è appunto la progressiva distruzione del “cuore selvaggio dell’Europa” a obbligarli, per trovare zone incontaminate, ad andare sempre più lontano. L’esperienza estetica, il poter godere della bellezza delle montagne, non è data solo dalla loro bellezza oggettiva, ma è l’insieme della loro bellezza e di come noi la percepiamo: vedere un panorama dall’arrivo di una funivia è molto diverso che vederlo da una cima raggiunta con fatica, o comunque con uno sforzo personale.
    La fatica, la solitudine e il silenzio sono i requisiti necessari per apprezzare in pieno la bellezza delle montagne, requisiti che sono vanificati dalla costruzione di impianti di risalita.


    Chi si oppone alla costruzione di nuovi impianti viene spesso accusato di egoismo, di essere una élite di sportivi che possono permettersi di salire a piedi dove la massa non può arrivare.
    Nulla di più falso, tutti, dai bambini agli ottantenni, sono in grado di camminare in montagna e, aumentando l’allenamento con la frequentazione, di raggiungerne di sempre più lontane.
    Lo possiamo constatare all’alpe Devero, soprattutto durante la settimana, estate e inverno, in inverno con le ciaspole, quando troviamo pensionati anziani o molto anziani, che percorrono sentieri e itinerari anche lunghi e difficili. Sono loro i primi a opporsi alla costruzione degli impianti; a loro Devero piace così com’è, non hanno bisogno che si trasformi in un carosello di funivie, e quando saranno più vecchi e le forze mancheranno sarà per loro ancora bello fare il giro della piana e guardarsi le montagne rimaste intatte che hanno salito pochi anni prima.
    Alcuni abitanti della valle dicono che questi escursionisti non portano nulla, che sono turismo povero, ben diverso da quello degli sciatori. Non è vero: specialmente in valle Antigorio, di cui l’alpe Devero fa parte, gli escursionisti lasciano sempre qualcosa: si fermano a bere, a pranzare, a comprare prodotti locali alla latteria sociale, o il pane e i dolci alla panetteria di Crodo o in altri esercizi commerciali. Il problema, come sempre avviene nel commercio, non è la domanda ma l’offerta: dove l’offerta è valida e buona, dove ci sono esercizi commerciali che offrono prodotti di qualità a un prezzo adeguato (e qui ce ne sono molti) ci si ferma e si compera.

    Verso la Scatta d’Orogna, montagne di Devero.

    Però vorrei dire che se anche non consumassero niente e non lasciassero niente oltre il biglietto del posteggio, questi escursionisti, a patto naturalmente che siano educati e non lascino immondizie, dovrebbero essere ugualmente i benvenuti perché quelle montagne, che essi amano, non appartengono ai valligiani, e direi di più, non appartengono neppure all’umanità, ma a tutti gli esseri viventi, lupo e agnello, fragola e ortica.
    Non passa giorno che siti turistici vengano dichiarati “patrimonio dell’umanità” ma l’umanità è solo una parte degli abitanti della Terra, parte che per la sua stessa esistenza ha bisogno di tutti gli altri componenti: senza la biodiversità moriamo anche noi, e inoltre il solo fatto di abitare un luogo non dà diritti su quel luogo, ma solo doveri: ognuno è responsabile del luogo che abita.

    Il documento della Provincia del VCO, che pure è ricco di dati e numeri ed elenca i milioni di euro stanziati sia dai costruttori privati degli impianti che dagli enti pubblici per il miglioramento delle infrastrutture, non fa nessun accenno alla reale situazione della valle Antigorio, né presenta un piano economico con previsioni attendibili di rientro degli investimenti: questi impianti si devono fare perché è così e basta, se poi, dopo avere investito milioni e rovinato un parco naturale, si dimostreranno un colossale flop e
    rimarranno per sempre soltanto le loro rovine che cosa importa?
    Al paragrafo 2 della relazione introduttiva per esempio si legge che scopo dell’opera è quello di: “Risolvere alcune criticità ambientali legate in generale ad una condizione di crisi sociale, economica (e culturale) delle are di margine, ma anche, nello specifico, allo stato di fatto dell’accessibilità e delle attrezzature di servizio (strade, parcheggi, ospitalità) che non riescono a reggere in modo equilibrato la pressione turistica che oggi si registra, con
    picchi critici in particolare a San Domenico (sia per l’accesso all’Alpe Veglia da Ponte Campo, sia per la stazione sciistica di San Domenico Ski) e all’Alpe Devero.
    Esibisce la Provincia dati sulla crisi economica e sociale ed economica della zona? No.
    Paragona i dati di alcuni anni fa, quando si è assistito a una rinascita del turismo dolce all’alpe Devero, con quelli di oggi, in cui quel tipo di turismo si sta affermando? No.
    Pensa di aiutare questo tipo di turismo dolce invece di quello degli impianti di sci? No.
    Per contro la zona, soprattutto per quanto riguarda la valle Antigorio, oggi non sembra affatto in crisi: la maggior parte delle case sono ristrutturate di recente, sorgono sempre nuove imprese commerciali e ricettive, è palpabile la sensazione di un recente benessere, trainato in parte dal turismo dolce ed ecologico che si pratica all’alpe Devero.
    Ma anche se ci fosse una crisi economica, questa non andrebbe risolta certo a spese dell’ambiente, anzi, l’ambiente è una risorsa che se non viene sperperata servirà a vincere la crisi economica.
    La crisi culturale invece non si risolve né costruendo funivie né costruendo parcheggi ma costruendo scuole, biblioteche, in generale favorendo l’istruzione, valorizzando le opere d’arte sul territorio e facendole conoscere agli abitanti stessi, dando a tutti accesso facile alla banda larga, aiutando le pubblicazioni che fanno conoscere la zona, partecipando alle fiere del turismo e dei libri.

    Scialpinismo all’Alpe Devero. Foto: Luigi Ranzani

    A questo proposito vorrei raccontare un aneddoto personale: quattro anni fa ho chiesto alla provincia del VCO, per la piccola casa editrice che gestisco con la mia compagna, un contributo di poco più di 1000 euro per la traduzione in tedesco di una guida escursionistica di una zona del VCO, mi è stato risposto che non c’erano fondi. Non si sono trovati 1000 euro per tradurre un libro nella lingua dei principali frequentatori stranieri della valle (svizzeri tedeschi e tedeschi) ma si trovano i milioni per la sua cementificazione.
    Quanto alla pressione turistica è forse meglio svolgere iniziative volte a eliminare i picchi critici e quindi a meglio suddividere nell’arco dell’anno l’afflusso, piuttosto che costruire strutture più grandi, che resterebbero comunque inutilizzate gran parte dell’anno.
    C’è anche una forte contraddizione tra il voler costruire nuovi parcheggi e gli investimenti previsti in un successivo paragrafo del documento per lo sviluppo del trasporto pubblico: tale sviluppo, se veramente ci sarà, dovrebbe rendere inutili i nuovi parcheggi.

    Mi accorgo che sto parlando soprattutto dell’alpe Devero e non di San Domenico, che come l’alpe Devero (o meglio il villaggio di Goglio alla sua base) viene decritto come uno dei tre punti nodali dei trasporti di un triangolo che ha per vertice Domodossola. La mia impressione è che senza San Domenico il problema della costruzione di nuovi impianti sciistici non sarebbe neppure stato posto: l’alpe Devero stava bene così com’era, prova ne è che il comitato che si oppone alla costruzione degli impianti è nato su iniziativa di tre albergatori di Devero (e credo sia l’unico posto al mondo). É alla stazione sciistica di San
    Domenico che soprattutto interessa espandersi verso i pendii di Devero e in più
    appropriarsi della sua immagine di luogo naturale incontaminato.

    Codelago e Pizzo Fizzo. Foto: Sergio Ruzzenenti

    Ma sulla filosofia della San Domenico Ski di “avvicinare le montagne” vorrei raccontare un aneddoto che riguarda un mio carissimo amico: Erminio Ferrari. Qualche anno fa abbiamo scritto insieme un libro di itinerari in Ossola che si potevano compiere sia con le ciaspole che con gli sci. Uno di questi è il pizzo Diei, sopra San Domenico, la cui descrizione della salita invernale a piedi toccava a Erminio. Il Diei prima della costruzione degli impianti, in inverno la si raggiungeva direttamente da San Domenico; con la loro costruzione è stato vietato risalire le piste sia a piedi che con le pelli di foca, per cui è diventato obbligatorio prendere gli impianti per un tratto della salita. Senza di quelli non c’è altro modo di fare le cime scialpinistiche che partono dal colle di Ciamporino e dalla Punta del Dosso (per esempio Diei, Scatta d’Orogna, Cima di Valtendra e accesso invernale all’alpe Veglia) e un intero versante di una valle è in inverno monopolizzato da una società di impianti sciistici, col divieto di frequentarlo se non usando i suoi impianti.
    Erminio dunque, sapendo del divieto di salire (e scendere) a piedi lungo le piste, si è presentato alla biglietteria chiedendo un biglietto di andata e ritorno per il Dosso. Gli hanno chiesto se faceva scialpinismo, lui ha risposto che non aveva gli sci ma le ciaspole, al che non c’è stato verso: con le ciaspole non solo non si si poteva salire lungo le piste, ma non si poteva neppure salire sugli impianti (che non sono, si badi bene, ski-lift, ma seggiovie).
    Tutto ciò da parte di una società che usa il claim “avvicinare le montagne” e che dichiara di voler tenere aperti gli impianti anche in estate per gli escursionisti, ma di fatto per ora impedisce loro di frequentarle in inverno.
    La meraviglia di questo “trasporto intermodale” è che, fino al giorno prima della richiesta da parte della San Domenico Ski di costruire gli impianti mancanti a raggiungere Devero, nessuno si interessava dei trasporti pubblici fra Domodossola e Devero e fra Domodossola e San Domenico, per cui tali trasporti erano carenti e dopo aver effettuato la meravigliosa traversata Veglia – Devero, i cui panorami tra l’altro verranno non poco compromessi dai nuovi impianti, l’escursionista non sapeva come tornare a San Domenico a prendere la macchina. Il vero problema dei trasporti in Ossola non è il collegamento
    funiviario San Domenico – Devero, ma i trasporti pubblici per le valli, non in grado di accontentare né gli abitanti né gli escursionisti che in estate attraversano di valle in valle e tanto meno in inverno gli scialpinisti. Come per miracolo adesso spunta il potenziamento dei trasporti pubblici, ma perché lì e non per esempio in val Formazza, che è veramente una valle isolata, lontana e malissimo servita? Bisognerà aspettare un collegamento funiviario Devero – Formazza per avere finalmente qualche bus in più per raggiungerla?
    Ma il punto che più connota l’insipienza di chi propone questo collegamento è quando si mostrano fotografie di piattaforme di cemento e acciaio messe nei luoghi panoramici.
    Come se il panorama non lo si vedesse già adesso dal prato su cui sarà steso del cemento o sedendosi su un sasso che in quel cemento sarà inglobato. Probabilmente presso tali piattaforme ci sarà anche una rosa dei venti con indicati i nomi delle cime, ma ogni buon escursionista porta sempre una cartina dei luoghi che visita.

    I punti panoramici secondo il progetto “Avvicinare le montagne”

    Invece di educare alla semplicità di sedersi su un prato o su un sasso, la provincia del VCO vorrebbe che si guardi il panorama da una piattaforma di cemento, invece che camminare nella bellezza della natura incontaminata vorrebbe che si prendesse una funivia, invece di alpinisti consapevoli che si informano prima di partire, leggono le guide, consultano le cartine, preferirebbe un branco di pecore che, sceso dalla funivia, si ammassi sulla piattaforma dei cartelli che tutto spiegano ma nessuno legge.


    Alberto Paleari, nato il 15/12/1949 a Gravellona Toce, è diventato guida alpina nel 1974 e ha esercitato a tempo pieno la professione fino allo scorso anno.
    Scrittore di romanzi e guide, ha pubblicato per Vivalda, Tararà e Monterosa Ediz
    Benché sia un grande conoscitore delle Alpi, ha sempre avuto l’Ossola come riferimento geografico e culturale ed è stato trai primi ad aderire al Comitato Tutela Devero.