Alpe Devero: avvicinare le montagne?
Alpe Devero: avvicinare le montagne?
di Alberto Paleari
(già pubblicato da www.mountainwilderness.it il 24 marzo 2018)
Lettura: spessore-weight(2), impegno-effort(1), disimpegno-entertainment(3)
Per gli inglesi che nella seconda metà dell’Ottocento inventarono l’alpinismo le Alpi erano “il cuore selvaggio dell’Europa”, ora sulle Alpi ci sono 12.000 km di impianti di risalita, e non bastano ancora: secondo il progetto di espansione della San Domenico Ski fra qualche anno se ne aggiungeranno 11,5. Una goccia nel mare? Forse, ma questi nuovi impianti dovrebbero essere costruiti in uno dei pochi santuari alpini dove la natura è rimasta com’era nell’Ottocento: il parco naturale Veglia-Devero.
Parco Veglia-Devero. Foto: Luigi Ranzani
In una situazione come quella odierna in cui le zone selvagge sulla carta geografica delle Alpi si sono ridotte a poche macchioline, “avvicinare le montagne” (con la costruzione di altri impianti di risalita) non ha alcun senso: semmai le montagne andrebbero allontanate. Gran parte della loro bellezza, infatti, deriva dalla lontananza, dall’essere inavvicinabili, dal mistero, dall’aura di sacralità che le circonda: le montagne più belle sono quelle che non riusciamo a salire e non è un caso che il sogno, spesso realizzato, di molti turisti, viaggiatori e alpinisti sia di andare in Patagonia, in Himalaya o chissà dove, quando le montagne le avrebbero a poche ore di auto o di treno dalle loro città.
Ma è appunto la progressiva distruzione del “cuore selvaggio dell’Europa” a obbligarli, per trovare zone incontaminate, ad andare sempre più lontano. L’esperienza estetica, il poter godere della bellezza delle montagne, non è data solo dalla loro bellezza oggettiva, ma è l’insieme della loro bellezza e di come noi la percepiamo: vedere un panorama dall’arrivo di una funivia è molto diverso che vederlo da una cima raggiunta con fatica, o comunque con uno sforzo personale.
La fatica, la solitudine e il silenzio sono i requisiti necessari per apprezzare in pieno la bellezza delle montagne, requisiti che sono vanificati dalla costruzione di impianti di risalita.
Chi si oppone alla costruzione di nuovi impianti viene spesso accusato di egoismo, di essere una élite di sportivi che possono permettersi di salire a piedi dove la massa non può arrivare.
Nulla di più falso, tutti, dai bambini agli ottantenni, sono in grado di camminare in montagna e, aumentando l’allenamento con la frequentazione, di raggiungerne di sempre più lontane.
Lo possiamo constatare all’alpe Devero, soprattutto durante la settimana, estate e inverno, in inverno con le ciaspole, quando troviamo pensionati anziani o molto anziani, che percorrono sentieri e itinerari anche lunghi e difficili. Sono loro i primi a opporsi alla costruzione degli impianti; a loro Devero piace così com’è, non hanno bisogno che si trasformi in un carosello di funivie, e quando saranno più vecchi e le forze mancheranno sarà per loro ancora bello fare il giro della piana e guardarsi le montagne rimaste intatte che hanno salito pochi anni prima.
Alcuni abitanti della valle dicono che questi escursionisti non portano nulla, che sono turismo povero, ben diverso da quello degli sciatori. Non è vero: specialmente in valle Antigorio, di cui l’alpe Devero fa parte, gli escursionisti lasciano sempre qualcosa: si fermano a bere, a pranzare, a comprare prodotti locali alla latteria sociale, o il pane e i dolci alla panetteria di Crodo o in altri esercizi commerciali. Il problema, come sempre avviene nel commercio, non è la domanda ma l’offerta: dove l’offerta è valida e buona, dove ci sono esercizi commerciali che offrono prodotti di qualità a un prezzo adeguato (e qui ce ne sono molti) ci si ferma e si compera.
Verso la Scatta d’Orogna, montagne di Devero.
Però vorrei dire che se anche non consumassero niente e non lasciassero niente oltre il biglietto del posteggio, questi escursionisti, a patto naturalmente che siano educati e non lascino immondizie, dovrebbero essere ugualmente i benvenuti perché quelle montagne, che essi amano, non appartengono ai valligiani, e direi di più, non appartengono neppure all’umanità, ma a tutti gli esseri viventi, lupo e agnello, fragola e ortica.
Non passa giorno che siti turistici vengano dichiarati “patrimonio dell’umanità” ma l’umanità è solo una parte degli abitanti della Terra, parte che per la sua stessa esistenza ha bisogno di tutti gli altri componenti: senza la biodiversità moriamo anche noi, e inoltre il solo fatto di abitare un luogo non dà diritti su quel luogo, ma solo doveri: ognuno è responsabile del luogo che abita.
Il documento della Provincia del VCO, che pure è ricco di dati e numeri ed elenca i milioni di euro stanziati sia dai costruttori privati degli impianti che dagli enti pubblici per il miglioramento delle infrastrutture, non fa nessun accenno alla reale situazione della valle Antigorio, né presenta un piano economico con previsioni attendibili di rientro degli investimenti: questi impianti si devono fare perché è così e basta, se poi, dopo avere investito milioni e rovinato un parco naturale, si dimostreranno un colossale flop e
rimarranno per sempre soltanto le loro rovine che cosa importa?
Al paragrafo 2 della relazione introduttiva per esempio si legge che scopo dell’opera è quello di: “Risolvere alcune criticità ambientali legate in generale ad una condizione di crisi sociale, economica (e culturale) delle are di margine, ma anche, nello specifico, allo stato di fatto dell’accessibilità e delle attrezzature di servizio (strade, parcheggi, ospitalità) che non riescono a reggere in modo equilibrato la pressione turistica che oggi si registra, con
picchi critici in particolare a San Domenico (sia per l’accesso all’Alpe Veglia da Ponte Campo, sia per la stazione sciistica di San Domenico Ski) e all’Alpe Devero.
Esibisce la Provincia dati sulla crisi economica e sociale ed economica della zona? No.
Paragona i dati di alcuni anni fa, quando si è assistito a una rinascita del turismo dolce all’alpe Devero, con quelli di oggi, in cui quel tipo di turismo si sta affermando? No.
Pensa di aiutare questo tipo di turismo dolce invece di quello degli impianti di sci? No.
Per contro la zona, soprattutto per quanto riguarda la valle Antigorio, oggi non sembra affatto in crisi: la maggior parte delle case sono ristrutturate di recente, sorgono sempre nuove imprese commerciali e ricettive, è palpabile la sensazione di un recente benessere, trainato in parte dal turismo dolce ed ecologico che si pratica all’alpe Devero.
Ma anche se ci fosse una crisi economica, questa non andrebbe risolta certo a spese dell’ambiente, anzi, l’ambiente è una risorsa che se non viene sperperata servirà a vincere la crisi economica.
La crisi culturale invece non si risolve né costruendo funivie né costruendo parcheggi ma costruendo scuole, biblioteche, in generale favorendo l’istruzione, valorizzando le opere d’arte sul territorio e facendole conoscere agli abitanti stessi, dando a tutti accesso facile alla banda larga, aiutando le pubblicazioni che fanno conoscere la zona, partecipando alle fiere del turismo e dei libri.
Scialpinismo all’Alpe Devero. Foto: Luigi Ranzani
A questo proposito vorrei raccontare un aneddoto personale: quattro anni fa ho chiesto alla provincia del VCO, per la piccola casa editrice che gestisco con la mia compagna, un contributo di poco più di 1000 euro per la traduzione in tedesco di una guida escursionistica di una zona del VCO, mi è stato risposto che non c’erano fondi. Non si sono trovati 1000 euro per tradurre un libro nella lingua dei principali frequentatori stranieri della valle (svizzeri tedeschi e tedeschi) ma si trovano i milioni per la sua cementificazione.
Quanto alla pressione turistica è forse meglio svolgere iniziative volte a eliminare i picchi critici e quindi a meglio suddividere nell’arco dell’anno l’afflusso, piuttosto che costruire strutture più grandi, che resterebbero comunque inutilizzate gran parte dell’anno.
C’è anche una forte contraddizione tra il voler costruire nuovi parcheggi e gli investimenti previsti in un successivo paragrafo del documento per lo sviluppo del trasporto pubblico: tale sviluppo, se veramente ci sarà, dovrebbe rendere inutili i nuovi parcheggi.
Mi accorgo che sto parlando soprattutto dell’alpe Devero e non di San Domenico, che come l’alpe Devero (o meglio il villaggio di Goglio alla sua base) viene decritto come uno dei tre punti nodali dei trasporti di un triangolo che ha per vertice Domodossola. La mia impressione è che senza San Domenico il problema della costruzione di nuovi impianti sciistici non sarebbe neppure stato posto: l’alpe Devero stava bene così com’era, prova ne è che il comitato che si oppone alla costruzione degli impianti è nato su iniziativa di tre albergatori di Devero (e credo sia l’unico posto al mondo). É alla stazione sciistica di San
Domenico che soprattutto interessa espandersi verso i pendii di Devero e in più
appropriarsi della sua immagine di luogo naturale incontaminato.
Codelago e Pizzo Fizzo. Foto: Sergio Ruzzenenti
Ma sulla filosofia della San Domenico Ski di “avvicinare le montagne” vorrei raccontare un aneddoto che riguarda un mio carissimo amico: Erminio Ferrari. Qualche anno fa abbiamo scritto insieme un libro di itinerari in Ossola che si potevano compiere sia con le ciaspole che con gli sci. Uno di questi è il pizzo Diei, sopra San Domenico, la cui descrizione della salita invernale a piedi toccava a Erminio. Il Diei prima della costruzione degli impianti, in inverno la si raggiungeva direttamente da San Domenico; con la loro costruzione è stato vietato risalire le piste sia a piedi che con le pelli di foca, per cui è diventato obbligatorio prendere gli impianti per un tratto della salita. Senza di quelli non c’è altro modo di fare le cime scialpinistiche che partono dal colle di Ciamporino e dalla Punta del Dosso (per esempio Diei, Scatta d’Orogna, Cima di Valtendra e accesso invernale all’alpe Veglia) e un intero versante di una valle è in inverno monopolizzato da una società di impianti sciistici, col divieto di frequentarlo se non usando i suoi impianti.
Erminio dunque, sapendo del divieto di salire (e scendere) a piedi lungo le piste, si è presentato alla biglietteria chiedendo un biglietto di andata e ritorno per il Dosso. Gli hanno chiesto se faceva scialpinismo, lui ha risposto che non aveva gli sci ma le ciaspole, al che non c’è stato verso: con le ciaspole non solo non si si poteva salire lungo le piste, ma non si poteva neppure salire sugli impianti (che non sono, si badi bene, ski-lift, ma seggiovie).
Tutto ciò da parte di una società che usa il claim “avvicinare le montagne” e che dichiara di voler tenere aperti gli impianti anche in estate per gli escursionisti, ma di fatto per ora impedisce loro di frequentarle in inverno.
La meraviglia di questo “trasporto intermodale” è che, fino al giorno prima della richiesta da parte della San Domenico Ski di costruire gli impianti mancanti a raggiungere Devero, nessuno si interessava dei trasporti pubblici fra Domodossola e Devero e fra Domodossola e San Domenico, per cui tali trasporti erano carenti e dopo aver effettuato la meravigliosa traversata Veglia – Devero, i cui panorami tra l’altro verranno non poco compromessi dai nuovi impianti, l’escursionista non sapeva come tornare a San Domenico a prendere la macchina. Il vero problema dei trasporti in Ossola non è il collegamento
funiviario San Domenico – Devero, ma i trasporti pubblici per le valli, non in grado di accontentare né gli abitanti né gli escursionisti che in estate attraversano di valle in valle e tanto meno in inverno gli scialpinisti. Come per miracolo adesso spunta il potenziamento dei trasporti pubblici, ma perché lì e non per esempio in val Formazza, che è veramente una valle isolata, lontana e malissimo servita? Bisognerà aspettare un collegamento funiviario Devero – Formazza per avere finalmente qualche bus in più per raggiungerla?
Ma il punto che più connota l’insipienza di chi propone questo collegamento è quando si mostrano fotografie di piattaforme di cemento e acciaio messe nei luoghi panoramici.
Come se il panorama non lo si vedesse già adesso dal prato su cui sarà steso del cemento o sedendosi su un sasso che in quel cemento sarà inglobato. Probabilmente presso tali piattaforme ci sarà anche una rosa dei venti con indicati i nomi delle cime, ma ogni buon escursionista porta sempre una cartina dei luoghi che visita.
I punti panoramici secondo il progetto “Avvicinare le montagne”
Invece di educare alla semplicità di sedersi su un prato o su un sasso, la provincia del VCO vorrebbe che si guardi il panorama da una piattaforma di cemento, invece che camminare nella bellezza della natura incontaminata vorrebbe che si prendesse una funivia, invece di alpinisti consapevoli che si informano prima di partire, leggono le guide, consultano le cartine, preferirebbe un branco di pecore che, sceso dalla funivia, si ammassi sulla piattaforma dei cartelli che tutto spiegano ma nessuno legge.
Alberto Paleari, nato il 15/12/1949 a Gravellona Toce, è diventato guida alpina nel 1974 e ha esercitato a tempo pieno la professione fino allo scorso anno.
Scrittore di romanzi e guide, ha pubblicato per Vivalda, Tararà e Monterosa Ediz
Benché sia un grande conoscitore delle Alpi, ha sempre avuto l’Ossola come riferimento geografico e culturale ed è stato trai primi ad aderire al Comitato Tutela Devero.
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