domenica 29 ottobre 2017

VOGOGNA/VALLE OSSOLA. IL NUOVO CHE AVANZA










Vi sono situazioni che prendono avvio pian, piano, quasi in sordina; magari all'inizio vengono fatte passare per provvisorie, o meglio temporanee, poi la temporaneità si trasforma in stabilità, le dimensioni della cosa aumentano e quando ci si interroga su cosa è che è successo rischia di essere troppo tardi. Forse è successo o sta succedendo anche in questo caso che rappresentiamo nel post odierno e che interessa un'area del Comune di Vogogna, Comune che già desideroso di ospitare nel suo territorio la centrale di conversione del più famoso Interconnector, ma noto anche per alcune intemperanze del suo Sindaco Onorevole avverso mancate opere di prelievo dei materiali litoidi dal greto del fiume Toce. Ora sembra contento di vedere crescere, a dismisura, una montagna di detriti di cava, sul proprio territorio, anche quello che parrebbe agricolo. Il tutto in fascia Galasso di vincolo paesaggistico in sponda destra orografica del fiume. Insomma una prova generale della futura e per loro auspicabile centrale di conversione, una "valorizzazione" a modo loro di un territorio che dovrebbe essere difeso nei suoi valori ambientali e di cui l'ormai scarso terreno agricolo pianeggiante della valle costituisce una risorsa preziosa piuttosto che trasformarlo, temporaneamente o no, in una pietraia. A noi ci pare che a questo punto sia utile e necessario sapere e capire che cosa è successo e che cosa potrebbe ancora succedere. Per questo motivo abbiamo preparato la lettera che invieremo ai soggetti pubblici tutti che dovrebbero essere stati coinvolti in questa vicenda e, sulla base delle risposte che avremo, vedremo cosa sarà meglio fare. Per ora vi postiamo qui nel seguito la bozza della lettera, con l'impressione che il tutto non finirà né qui, né molto presto. 



E' di manifesta evidenza l'attività di stoccaggio, deposito, o che altro lo si possa definire, di materiali inerti che da alcuni tempi si svolge in territorio del comune di Vogogna. 

Tale attività è in ambito posto in fregio alla SS 32, all'interno della fascia di vincolo paesaggistico della sponda destra del fiume Toce e in area, alla luce della tavola di azzonamento del PRGC, consultabile sul sito del medesimo Comune di Vogogna, in parte a destinazione artigianale, in non minor parte a destinazione agricola E1 ad elevata produttività e in parte residuale in ambito di rispetto dell'impianto pubblico di depurazione. 

Crediamo inoltre che sempre l'ambito in argomento sia interessato da vincoli posti dalla corrispondente fascia individuata dal vigente PAI.

L'attività si è venuta, nel tempo, sempre più allargandosi ed oggi è costituita, senza pressoché soluzione di continuità, da un deposito in rilevato di diverse centinaia di metri di lunghezza e diverse decine in larghezza oltre che per un'altezza variabile, ma stimabile sino anche una decina. Se poi si aggiunge che il "deposito" si estende anche sotto il livello della quota di campagna attraverso la contestuale formazione di una vasca di alcuni metri di profondità ottenuta mediante lo scasso del terreno e l'asportazione del materiale da coltivo e altro, si ottiene una adeguata raffigurazione della imponente consistenza di tale rilevato, paesaggisticamente, a giudizio della Associazione che rappresento, insostenibile.

Non si conoscono i riferimenti autorizzativi che hanno consentito che un tale imponente deposito si venisse, via via, formando. Si conosce l'origine del materiale che viene stoccato, ma ogni altro elemento al momento ci sfugge e non ne siamo in possesso.

Possiamo solo osservare che, al di là della evidente non conformità paesaggistica di quanto si è venuto a realizzare, l'eventuale sostenibile provvisorietà dello stesso ci pare confligga con la sua stessa dimensione, con le modalità, già evidenziate, di sua realizzazione e con il fatto che, ancorché ora abbia assunto dimensioni imponenti, per quanto consultabile e scaricabile in rete da immagini comunque datate, il processo di formazione non è recentissimo, ma ha avuto inizio già alcuni anni or sono e, verosimilmente è destinato a procedere per altri anni.

Eclatante poi, salvo smentita per fatti a noi non noti, la non conformità del "deposito" con l'azzonamento previsto dal piano regolatore del Comune interessato, oltre che dalle norme di attuazione del medesimo che non paiono disporre di una regolamentazione per tali casi.

Tutto quanto premesso, fatta salva ogni altra azione che questa Associazione intenderà intraprendere a difesa e tutela dei valori del paesaggio che in questo caso ci sembrano fortemente compromessi, giova conoscere, rivolgendosi agli Enti ed ai soggetti tutti in indirizzo, ad ognuno per la propria competenza, ogni utile informazione circa la natura della modifica del suolo intervenuta, i titoli amministrativi che l'hanno consentita, la conformità di quanto realizzato ed in corso di realizzazione ai medesimi eventuali titoli autorizzativi, ogni altra ed ulteriore informazione utile a fine dell'esatta, compiuta e certa qualificazione di quanto realizzato e in corso.




Si ringrazia per l'attenzione e si rimane in attesa di un cortese riscontro. 






Si allegano: FILE DI FOTO/ FILE DI AZZONAMENTO prgc 

     

lunedì 23 ottobre 2017

DEVERO- S. DOMENICO I CAPITALI INTERNAZIONALI


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Il nostro Presidente Onorario, Italo Orsi, ci dispensa questo suo saggio e come sempre, illuminante racconto sui soldi che dovrebbero arricchire le nostre montagne. Pubblichiamo quindi in anteprima il racconto che, stampa permettendo, dovrebbe comparire sul settimanale locale dell'Ossola. Buona lettura.


"La pubblica opinione ossolana si sta appassionando come non mai alla vicenda degli impianti da sci (pardon, "Rete di trasporto" ) che dovrebbero avvolgere come una ragnatela d'acciaio i siti più belli e incontaminati delle nostre montagne. La storia avvince più della telenovela di “Harvey” che sta intrigando gli italiani tutti. Si fa gran parlare di un " gruppo" di investitori svizzeri (non più cordata, porta male) pronti ad investire "paccate" di miliardi, per dirla alla Fornero, nel più grande circo delle nevi che mente umana abbia mai concepito.
Essendo curioso sono andato a spulciare in documenti ufficiali (alla portata di chiunque) chi sono i componenti di questo "gruppo". Il più visibile e reperibile è senz'altro il Sig. Andrea Malagoni, nato a Cunardo (VA) nel 1945. domiciliato a Milano, cittadino svizzero, amministratore unico della non meno conosciuta San Domenico Sky Srl, costituita nel 2009.
Siccome si parla di "gruppo" ho approfondito la ricerca per conoscere gli altri componenti del sodalizio.
Ho cominciato dai soci della San Domenico. Sky Srl. Chi sono? Dai documenti risulta che l'unico socio proprietario è la Mibafin Investment SA con sede in Lugano (CH), costituita nel 2009. E chi sono i proprietari della Mibafin Investments, società anonima? Sorpresa: il solo ed unico socio è sempre Andrea Malagoni; e il cerchio si chiude. In definitiva risulterebbe che Andrea Malagoni è l'unico legittimo proprietario e dirigente del "gruppo", si fa per dire, di investitori svizzeri. Una sorta di "0ne man show" della finanza internazionale che impersona più ruoli e personaggi, come Crozza nei suoi spettacoli, peraltro più divertenti. Nulla di male ovviamente, ma perché questo inutile paravento dell'indubbiamente abile imprenditore? La bizzarra situazione ha già provocato strane voci del tipo: che e chi c'è dietro? Capitali russi, cinesi, pakistani o quant'altro? Il male, purtroppo, risiede altrove, cioè nel progetto di alluvionare l'Ossola con folle di visitatori domenicali mordi e fuggi (dieci milioni di potenziali turisti! Dicono) trasformandola in una brutta appendice dell'hinterland milanese proprio nel momento che c'è una crescente domanda di natura "naturale", non illusoria. Non bastano parole e slogan a mutare la sostanza delle cose. L'han ben capito i tre albergatori di Devero che hanno un contatto quotidiano con la clientela di domani in fuga dalle città degradate.
Veda perciò il bravo Malagoni di non allargarsi troppo e di concentrare i suoi interessi su San Domenico località ormai perduta per sempre e già "rapallizzata" in modo irreversibile. Il mondo è pieno di non luoghi che andrebbero riqualificati, perciò lasci perdere i territori ancora integri. L'Ossola è già stata gratificata dallo scalo Domo 2 e dal futuribile Interconnector che han portato o porteranno soldi e prosperità a palate come tutti sanno. Non ha bisogno d'altro: troppa grazia Sant'Antonio verrebbe da dire o, se preferite, troppa grazia Santi Domenico e Andrea.
Con osservanza."



Italo Orsi

venerdì 20 ottobre 2017

ARCHEOLOGIA CONTEMPORANEA







Il Convegno sulla archeologia industriale, come programmato, si è svolto oggi, 20 ottobre, a Torino. Buona la partecipazione di pubblico; oltre settanta persone hanno riempito la sala dell'Archivio di Stato di P.za Mollino dove otto interventi tenuti da architetti, docenti universitari, rappresentati di Italia Nostra e con la partecipazione della Soprintendenza hanno portato testimonianze diverse su di una questione che la crisi industriale di questi ultimi anni ha soltanto acuito e non risolto. La Sezione provinciale del VCO ha presentato due testimonianze di archeologia contemporanea; la Bialetti di Crusinallo e la Girmi di Cireggio. Impedito per intervenuti imprevisti il relatore ufficiale, Architetto Ripamonti, il Presidente della Sezione ha supplito presentando, in sequenza, tre contributi corredati da video e foto e che qui pubblichiamo per chi ne avesse interesse.

LA BIALETTI, UN'INDUSTRIA CON I BAFFI

L’archeologia contemporanea, un ossimoro, ma che, paradossalmente, diventa lo stimolo per una riflessione anziché essere accantonato come una boutade. 
Succede nel caso dei due esempi che abbiamo scelto di presentare nel convegno di oggi. 
Due realtà, o meglio ex realtà industriali, cresciute, all’inizio della seconda parte del secolo passato, dentro il distretto industriale del Cusio che, in quegli anni, aveva fatto delle produzioni del casalingo la sua fortuna. 
Il primo esempio, anche in ordine cronologico, si affermava per la genialità di un imprenditore estroverso, che in pochi anni, sull’onda dello sviluppo economico del dopoguerra e della crescita della curva demografica, riusciva con un prodotto molto semplice, ma geniale appunto, ad entrare, è il caso di dirlo, dentro pressoché tutte le famiglie italiane, utilizzando, con intuizione, un messaggio pubblicitario accattivante, l’omino coi baffi, che i primi “Caroselli” portavano sul tavolo di quelle famiglie che ne sarebbero diventate il primo e più rilevante mercato.
Il tutto si realizzava nello stabilimento, firmato dall'architetto Caneva, sorto all’inizio degli anni 50 a Crusinallo di Omegna, uno stabilimento moderno, anzi modernissimo, dalle linee razionaliste, assai diverso, anzi irriconoscibile, salvo eccezioni, se confrontato con i modelli precedenti, ma anche successivi della fabbrica industriale. 
Una fabbrica orizzontale/verticale, concepita su più livelli dunque, dove sarebbe stato difficile cogliere la differenza tra l’ala produttiva e quella amministrativa, financo quella dirigenziale. 
Il tutto era ed è fuso in un unico modello architettonico, dove la luce naturale diventa un elemento dominante, gli spazi sono open space e forse l’unica traccia ottocentesca, l’impronta della fabbrica governata da un padrone, è l’ufficio padronale appunto messo in una posizione assolutamente dominate rispetto l’intera ala dedicata all’amministrazione dell’azienda.
Uno stabilimento “modello” si sarebbe stati tentati di così definire, dove il “modello” si rispecchiava poi anche in quello di una gestione attenta al suo perfetto mantenimento, quasi un vizio maniacale che vedeva impegnata, in permanenza, una squadra di servizio per la pulizia delle superfici vetrate, dove i macchinari venivano riverniciati a nuovo una volta ogni anno, dove le scrivanie impiegatizie avevano il piano di cristallo trasparente, con obbligo di essere lasciate in perfetto ordine al termine del turno, dove l'archivio ammnistrativo era un altro elemento di assoluta innovazione, dove un'impianto meccanografico, quasi incessantemente in moto, occupava l'intero piano dell'ala degli uffici, dove la filodiffusione si diffondeva negli ambienti della produzione e dove le cento docce a disposizione delle maestranze erano forse l'illusione di eliminare, al di qua dei cancelli, le divisioni che si riproducevano al di là dei cancelli della fabbrica.
Una fabbrica moderna, pulita e ordinata, dove una severa disciplina del lavoro si fondeva con lo stesso ordine materiale delle cose, anzi ne era un elemento essenziale, ma che, paradossalmente, pur nel non annullato conflitto, conferira alle maestranze il senso dell'appartenza ad una aristocrazia che le differenziava, certamente sul piano salariale, rispetto al lavoro presso altri stabilimenti. 
Sotto il profilo economico è stata un' esperienza felice e per molti anni fortunata, arrivando a produrre sino a 18.000 pezzi ogni giorno, una vera produzione di massa che si riversò, per ben oltre due decenni, sui tavoli, principalmente, ma non solo, di pressoché tutte le famiglie italiane.
La sua fortuna era probabilmente anche però il suo limite; il mercato di un prodotto quasi indistruttibile non poteva essere infinito e i mercati laddove avrebbe potuto espandersi erano anche quelli che seppero velocemente impadronirsi del “ brevetto” ; la curva demografica interna intanto cominciava a fare sentire gli effetti della decrescita, insieme a quella del numero delle nuove famiglie; il mercato si apriva, ma diventava più competitivo e più difficile. 
L’omino coi baffi aveva fatto il suo tempo, lo sapeva benissimo, l’impresa famigliare non aveva eredi capaci di raccogliere l’eredità ancorché in vita il fondatore; passò la mano e altri continuarono per alcuni anni la produzione, ma spostandola altrove, prima vicino, poi più lontano e ora la traccia si perde anche se il marchio ancora esiste e da qualche parte del mondo il prodotto ancora esce.
Lo stabilimento di vetro, l’icona di un tempo contemporaneo del panorama industriale locale, faticava e fatica a ritrovare una sua adeguata funzione. Smontate le linee produttive, i padiglioni, già animati dal lavoro operaio, sono diventati spazi vuoti attraversati solo dalla luce; frazionati e smembrati altri settori sono ora occupati da improponibili pizzerie, da unità commerciali o da delocalizzati uffici e servizi; ma lo stabilimento rimane pressoché intatto nelle sue linee architettoniche essenziali, nella sua singolarità all'interno di un panorama industriale ben diverso. 
Sulla sua facciata svetta ancora, mai rimosso, il nome della fabbrica che non c’è più. 
Che poi sia stato lasciato come un ricordo del passato o una speranza per il futuro, questo non ve lo possiamo ancora raccontare.

LA GIR-MI UN ACRONIMO FORTUNATO

Erede di una tradizione industriale già consolidata, quella della Società Cooperativa Torneria la Subalpina nata nel 1919 in Valle Strona, la fabbrica negli anni quaranta si trasferisce a Omegna, ma soltanto nel 1963 trasforma il suo nome in quello di "Girmi - la Subalpina" e solo nel 1971 in "Girmi" spa; l'acronimo di gira e miscela.
La storia dello stabilimento fisico che vi raccontiamo si intreccia però con quella del figlio del fondatore della vicenda industriale.
Carlo Caldi, che si sottoscrive con il soprannome di Carlito per le origini Argentine della madre, galeotto il viaggio di nozze negli Stati Uniti nel 1947, subisce la fascinazione degli elettrodomestici che in quel paese in quell'epoca erano già diffusi e da lì a proporli sul mercato italiano il passo non sarà immediato, ma comunque prenderà avvio e i primi prodotti saranno il macinino e il frullatore; la Gir-mi, appunto.
La plastica è il nuovo materiale verso il quale le produzioni si orientano. La sua novità, unità alla leggerezza ed alla possibilità di ridurre i costi e il prezzo finale del prodotto sono determinanti per la sua scelta.
Tale scelta, ancorchè inizialmente non garantisse una qualità perfetta del prodotto, grazie al basso prezzo è invece decisiva per il successo delle vendite, determinado il salto dimensionale dell'azienda che passa dai 50 addetti degli anni cinquanta ai 400 degli anni settanta.
Il successo aziendale impone la ricerca di nuovi spazi produtti e Carlo Caldi acquista un 'area di 60.000 mq. posta sulla collina di Cireggio, frazione di Omegna, area occupata dalla villa " Pestolazzi" con annesso un grande parco.
L'ambito non è forse quello che ai più verrebbe pensare da destinare ad un sito produttivo, affacciato come è, in posizione dominante, verso il lago, ma nel 1963 viene costruito il nuovo stabilimento, un immenso spazio posto su di un unico livello che occupa una superficie di circa 7.500 mq. , totalmente libero da colonne e pilastri, con una copertura formata da una struttura reticolare a elementi prefabbricati in lamiera piegata che permettono di coprire una luce, senza sostegni, fino a 120*50 ml.
Anche in questa realizzazione non è estranea la contaminazione che già per i prodotti era venuta dagli Stati Uniti. L'intera copertura del capannone è infatti acquistata in quel paese, proveniendo dallo smantellamento di un supermercato, e viene importata non senza dispendio di costi. 
Ne nasce, per quei tempi, un innovativo edificio che segnala la sua presenza sul territorio anche grazie alla colorazione rossa che lo contraddistingue.
Al suo interno la produzione viene organizzata a "ciclo orizzontale", la materia entra al piano ed esce finita allo stesso piano, attraverso un' organizzazione dello spazio articolata a " ferro di cavallo" .
Un magazzino multipiano, tra i primi automatizzati in Europa, costituisce l'impianto logistico; le sezioni tecnica e programmazione sono collocati in uno spazio vetrato sopralzato che da direttamente sopra la fabbrica; gli uffici amministrativi sono invece sistemati all'interno della villa Pestolazzi e un sistema di posta pneumatica li connette ai reparti produttivi. Intorno rimane il grande parco originario, animato da daini e caprioli. 
E' dunque all'interno di questo grande spazio produttivo che nascono e prendono forma i brevetti, a tutela della loro ideazione. Una serie di produzioni e di parti meccaniche, che nel 1998 raggiunge il numero di 18 è sottoposta a brevetto e si diffonde nel mercato sull'onda dell'economia dei consumi e grazie all'accattivante attrattiva che una nuova categoria di artisti rivolge ai prodotti industriali.
Il rapporto della Girmi con il designer è fondamentale. Lo stesso Carlo Mazzeri che firma i disegni del nuovo stabilimento svolge un'esperienza in tale senso e collabora con l'azienda per la ridisegnazione di alcuni prodotti quali: l'asciuga capelli, i coltelli elettrici, il frullinio a immesione ecc..
Collaborazione saltuarie, ma eccelenti si annoverano durante i diversi decenni di vita dell'azienda: da Marco Zanuso alla fine degli anni 50, a Michele De Lucchi negli anni 80, a Pinifarina nel 90.
Più assidua la collaborazione di Ludovico Mattioli che sottoscrive un contratto a partire dal 1978 e che continua sino all'entrata di Luca Meda nella Girmi all'inizio degli anni 80.
Quest'ultima collaborazione non si limita al campo del designer di prodotto, ma si estende alla progettazione dell'immagine dell'azienda, alla costruzione della sua identità attraverso la cura della comunicazione per il suo riconoscimento nel rapporto con il mercato.
La collaborazione con Michele De Lucchi nel 1979 consente all'azienda di esporre al Beaubourg una serie di elettrodomestici prodotti a scopo promozionale. 
Le ultime collaborazioni sono poi quelle degli anni immediatamente precedenti la chiusura avvenuta nel 2004 e i rapporti sono quelli con lo studio Ugolini, con Nico Smench di origine Olandese e con Vinod Gangotra di origene Indiana.
L'azienda non importa dagli Stati Uniti soltanto lo stabilimemto di Cireggio, importa anche un modello di casalinga dove i piccoli elettrodomestici sono rappresentati come l'ausilio essenziale nelle faccende domestiche. Essi sono altresì associati, simbolicamente, ad un'alimetazione sana dove il frullatore diventa la macchina della produzione delle vitamine da estrarre da frutta e verdure.
Il Frullo del 1954, il Mokaro del 1956, il Carosello del 1958, il Frulletto del 1959, il Cremespress del 1960, il Gastronomo sempre del 60, la caffetiera elettrica Espresso ancora del 1960, il macinacaffè Mc14 major sempre degli stessi anni 60.
Nascono a ritmo veloce e incessante tutti questi "giocattoli" che entrano nell'arredamento delle cucine italiane che sempre più diventano una sorta di piccole fabbriche semiautomatizzate per la trasformazione di cibi e bevande.
Il designer in questo processo fa la sua parte, fondamentale, coniugando l'estetica con la funzionalità e con l'utilità e il mercato per molti anni premia, spingendo verso nuovi prodotti, nuove forme e nuove funzionalità, anche attraverso restyling successivi. La Gelatiera GL12, il tritatutto TR50, il frullatore FR52, la centrifuga CE11 e il Naturista del 1981 si inseriscono nel continuum della tendenza " salutista" che vede il Naturista compatto del 1987.
La serie delle produzioni è dunque molto lunga, ma la vicenda industriale conosce una curva, forse inesorabile, e Girmi spa, azienda sostanzialmente a base famigliare non ha al suo interno le risorse umane necessarie alla sua stessa successione; i modelli di consumo, ma anche di vita cambiano, le casalinghe abbattono il loro tempo di permanenza media tra i fornelli di cucina da circa due ore di un tempo ai 15 minuti giornalieri attuali, i "giocattoli" non attirano più, la globalizzazione ormai è arrivata, la finanza attrae di più le risorse che non la produzione, l'azienda passa di mano, una, due o forse anche più volte, il marchio lo acquista prima la Bialetti, poi altri, poi altri ancora, ma dove sia ora difficile dirlo con certezza, nel 2004 chiude e va in liquidazione fallimentare, ma nessuno si è ancora presentato alle aste.
Il grande stabilimento venuto dagli Stati Uniti, montato pezzo su pezzo sulla collina di Cireggio chiude i battenti e non riaprirà più; il silenzio che prima era rotto dalla musica che, durante i turni produttivi, si diffondeva attraverso gli amplificatori posti al suo esterno, è tornato.
Il grande parco dei daini e dei caprioli, vigoroso e prepotente, quasi a voler mostrare e dimostrare una supremazia della natura, è avanzato nella maniera più libera e disordinata possibile, impossessandosi della fabbrica. La sovrasta, la chiude nell'intreccio della vegetazione come a volerla nascondere, persino seppellire. Il fabbricato esteso più di un intero campo di calcio non esiste più alla vista umana. La collina verso il lago esplode di colori che l'autunno estivo di questo anno svela, ma della fabbrica quasi neppure un'ombra.
E forse questo è il suo destino; venuto da un paese lontano, quasi un oggetto ancora sconosciuto, collocato in un luogo che nulla aveva di sito industriale, abbandonato dall'uomo è preda di una natura che se ne impossessa, lo smonta, lo rottama, lo distrugge pezzo a pezzo e tempo un secolo non ci sarà più. 


LA DEINDUSTRIALIZZAZIONE IN BREVE 

Il tema della archeologia industriale, unito a quello forse più attuale della rottamazione o che altro si voglia dire e definire, è un tema che tocca da decenni il panorama dell’intera Provincia del Verbano . 
La storia industriale degli anni che hanno attraversato la fine del secolo passato e l’inizio di quello attuale è una storia di chiusure, smantellamenti, dismissioni o delocalizzazioni che, a seconda dell’epoca e della crisi industriale del periodo, ha lasciato sul terreno realtà note, altre meno note, alcune storiche e non o più semplicemente e più recentemente uno stilicidio di unità produttive minori che oggi mostrano il cartello vendesi o affittasi.
Ha iniziato la grande industria, quella storicamente insediata, l'industria siderurgica in primis; La Pietra di Omegna, ex Cobianchi,con il suo altoforno messo quasi in mezzo alla città, ora al suo posto c'é un'area commerciale, un'altra scolastica, una residenziale e il "Forum", il centro polifunzionale pubblico dedicato alla storia dell'industria locale, segno che quando non c'è più l'industria si passa a farne la commemorazione; poi è venuta la Ceretti di Villadossola, altra industria siderurgica e al suo posto è sorto il teatro, "La Fabbrica", e così se ne evoca almeno il nome; segue anni dopo la Sisma, una fabbrica energivora in termini di occupazione, sempre di Villadossola; mi pare che sia rimasto uno spazio ancora vuoto; ma diversi anni prima aveva terminato una lunghissima agonia chimica la Montefibre di Verbania, in parte ora Esselunga e, in parte, sino al 2010, una nuova industria, ancora chimica, "l'acetati" con una scia di "veleni" che si è portata dietro anche dopo la sua chiusura e che il nome già anticipava; si aggiunge all'elenco della morte del lavoro il cappellificio Panizza di Ghiffa, trasformato in una pregiata residenza sul lago e la Cartiera di Verbania, ora uno spazio polifrazionato e spezzettato per tante molteplici piccole e piccolissime aziende.
A seguire viene poi la crisi, a cavallo dei due secoli, quella dei distretti industriali, che nella Provincia colpisce il casaligo e che, pezzo dopo mezzo, smonta nell'arco di un quindicennio, una buona parte dell'apparata produttivo e occupazionale che negli anni del boom economico aveva felicemente edificato; la Bialetti e la Girmi sono dunque i grandi simboli di questo smantellamento, ma non sono soli. 
La rottamazione però non si ferma ancora e la crisi economica e industriale più profonda che la storia contemporanea ha conosciuto e che per molti versi ancora conosce, smantella un'altra miriade di piccole e meno note aziende.
Ne fa le spese anche una più nota, la Legatoria del Toce della De Agostini e si disertificano intere aree artigianali e industriali che erano, poco prima, cresciute sull'onda di piani attuativi produttivi che i Comuni sembrava avessero fatto a gara a realizzare.
Qualche riconversione commerciale; diversi abbattimenti, una qualche nuova struttura pubblica sorta sui loro resti; singoli destini residenziali, altri frazionamenti di strutture rimaste in piedi a beneficio di piccole e piccolissime aziende artigianali di servizio, ma molte piccole e alcune grandi unità stanno lì ora abbandonate ad un destino che non si vede, né si intravvede.
Il panorama che si osserva dopo decenni di ripetute crisi lascia sul terreno i segni visibili di una storia industriale fatta più di chiusure, cessioni, liquidazioni e fallimenti che non altro.
Il simbolo più eccellente di questo processo di deindustrializzazione rimane però quella stessa struttura edificata, in fondo solo recentemente, per essere lo strumento di promozione e di innovazione a servizio dell'apparato industriale. 
Oggi il vasto complesso del Tecno Parco, firmato da Aldo Rossi e finanziato dai fondi della Comunità Europea, conclude la sua stentata e breve vita tra le carte dei procedimenti di liquidazione societaria, mentre il corpo principale, affrettatamente ceduto a sede dell'Ente Provincia, assiste accumunato da uno stesso non felice destino, imponente e impotente, alla gravissima crisi finanziaria in cui lo stesso Ente Provincia si dibatte senza uscirne .

mercoledì 18 ottobre 2017

DEVERO-S.DOMENICO LO SPETTACOLO

Risultati immagini per malagoni san domenico


Muove le tende il circo bianco e al primo spettacolo fa il pieno. L'attesa dunque è molto alta e questo l'ha capito la pur giovane guida dell'impresa. Attento come pochi a muovere pedine, le prime le gioca sul piano dei mass media. La Stampa, d'altronde gli va dietro e forse anche davanti e già quest'oggi gli regala una pagina locale tutt'intera. Che dire ordunque di come organizzato lo spettacolo ? Che messi intorno al tavolo i Governi dei luoghi interessati al suo progetto, ben presto li ha spiazzati tutti quanti, tenendo tutto il banco per oltre due ore di racconto. Rimaste due comparse a fargli un po' il contorno, è stato capace di non smettere, partendo da lontano, zoomando il primo piano, sgombrando tanti forse, facendosi domande e dandosi risposte. E' stato tutto lui, sicuro di incantare col suo tono le qualche centinaia di gente e di curiosi venuti ad ascoltare. Non sembra che qualche cosa se l'abbia poi scordata: chi è la società, chi è che mette i soldi, che cosa ha sin qui già fatto, che cosa ha in corso ora di fare e quello che più importa che cosa vorrà fare. E'attento e sgombra il campo ai tanti che si dice; lui vuole dimostrare che dietro non c'é nulla di oscuro o misterioso e che tutto è trasparente. Si prende anche gli applausi e questo era scontato; se arriva qualche d'uno che offre tanti soldi laddove sono pochi che mettono dei soldi, è cosa quasi certa che prenda anche gli applausi. Or dunque è tutto chiaro ? E' chiaro che è un progetto che vale tanti soldi, fors' anche troppi soldi; difficile è trovare chi metta tutti i suoi e nulla chieda di pubblico denaro. Se è vero o non è vero,la storia lo dirà. Per ora si smentisce, ma il dubbio un po' rimane. E' valido il progetto ? Ha aspetti interessanti, ma aspetti chiaro/scuri ed altri troppo scuri. Salire senza strada, come un tempo, all'alpe Devero non sembra da buttare; comprare il Cervandone e farne un nuovo albergo è meglio che vederlo andare a pezzi; salire sul Cazzola è tutto da vedere; cambiare e ammodernare l'impianto che s'arroca da fondo S. Domenico è meglio che buttarlo; nascondere le auto è forse necessario; entrare nella valle che sala a Ponte Campo e poi salire ancora ci sembra un grosso azzardo; congiunger con le funi il Devero col Dosso traverso il Bondolero è un punto assai perplesso e forse controverso. C'é poi l'altra questione che è anche più importante, ma poco se ne parla. Un tal progetto chiede, per reggersi poi in piedi, che arrivi tanta gente, un mare di sta gente che dunque è condizione per metter tanti soldi. Ma poi questa invasione in mezzo alla natura non è che alla fine la cambia la natura? Il parco lì vicino, il Veglia con il Devero, è solo messo lì per fare da specchietto al passo delle allodole e intorno gira un circo che è meglio lasciar stare ? E infine un altro dubbio; è tutto o c'è dell'altro; intendo, non adesso, ma dopo si va avanti o tutto ferma lì? Insomma la cautela e insieme la prudenza ci sembra debba starci; ci pare si debba ancor pensare. E' presto per decidere, che spengano le luci troppo accese sul palco l'altra sera; si chiudano a pensare. La Stampa lasci stare che il giovan Malagoni conosce già il mestiere.

lunedì 16 ottobre 2017

ARCHEOLOGIA INDUSTRIALE





Il Consiglio Regionale della nostra Organizzazione ha indetto il convegno sulla archeologia Industriale. Il Convegno si svolgerà venerdì prossimo 20 ottobre con inizio alle ore 8.30 a Torino presso l'Archivio di Stato. La sezione locale della Organizzazione propone due esempi di archeologia contemporanea: la Bialetti di Crusinallo e la Girmi di Cireggio, due stabilimenti prematuramente scomparsi dal panorama industriale italiano, abbastanza singolari per quanto riguarda la loro struttura architettonica e che, proprio per questo, sono stati presi ad esempio da proporre al convegno. A convegno concluso pubblicheremo i testi degli interventi che presenteremo in sede di convegno. Confidiamo pure che vi possa essere una qualche partecipazione di qualche nostro lettore. 


MONUMENTI DA SALVARE” DI ITALIA NOSTRA - PIEMONTE Torino


CONVEGNO PUBBLICO Venerdì 20 ottobre 2017, ore 9 -14


Archivio di Stato di Torino Piazzetta Mollino – Torino


















Ore 8,30 REGISTRAZIONE DEI PARTECIPANTI



PROGRAMMA


Ore 9 PRESENTAZIONE


ADRIANA MY, presidente del Consiglio Regionale del Piemonte di Italia Nostra


Significato e obiettivi dell’iniziativa “monumento da salvare” Saluti delle autorità


INTRODUZIONE


MARIA TERESA ROLI, architetto, consigliere nazionale e vicepresidente del


Consiglio Regionale del Piemonte di Italia Nostra


9,30 CONTRIBUTI DALLE SEZIONI DI ITALIA NOSTRA


LIONELLO ARCHETTI MAESTRI, documentalista, presidente Sez. di Acqui Terme


Acqui. Una città senza identità: né ville d’eaux né working town


MARIA IRENA MANTELLO, architetto del paesaggio


Alessandria. Archeologia Industriale o Rudere eccellente: la testimonianza


dell’ex zuccherificio di Spinetta Marengo


FRANCESCO BONAMICO,architetto, già docente al Politecnico di Torino


Bra: le concerie sconce


GIULIO BEDONI, pubblicista, presidente della Sezione di Novara


Novara. Le settecentesche Fornaci Bottacchi: cronistoria di un


costoso abbandono


EROS PRIMO, architetto dirigente servizi Urbanistica e Ambiente di None e Virle


Pinerolo, città d’opera e d’acqua. Il caso dell’ex merlettificio


Turck


GIOVANNI LUPO, professore ordinario i.q. presso il Politecnico di Torino


Torino. OGR e OGM: due acronimi e due modalità di approccio


ROBERTO RIPAMONTI, architetto, consulente European Environment Agency


VCO. Esempi “noti” di una prematura archeologia industriale:


Omegna, la Bialetti di Crusinallo e la Girmi di Cireggio


GIANCARLO BOGLIETTI, ingegnere, già assessore all’Urbanistica di Vercelli


Vercelli. Area ex Montefibre: una scelta politico-urbanistica?


12,45 INTERVENTI A RICHIESTA e DIBATTITO


13,30 CONCLUSIONI 

venerdì 13 ottobre 2017

DEVERO/S.DOMENICO- TEMPESTA ALPINA

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Battipista sta volta è La Stampa che rilancia, sulla pagina di oggi, il miraggio di una nuova super stazione sciistica alpina che verrebbe regalata da investitori pronti a dissanguarsi pur di offrire questa irripetibile occasione per l'economia ed il turismo delle valli dell'Ossola. Il taglio è chiaro, la posizione è certa, l'avvertimento messo in finale di articolo a firma del direttore della pagina locale, rivolto a possibili detrattori, altrettanto chiaro. Insomma, non proprio un taglio cronicistico, ma una non troppo velata presa di posizione che, unita alla evidenza che viene data all'articolo, non lascia sperare nulla di buono per tutti coloro che si porranno in posizione contraria o anche solo critica nei confronti di questo progetto. Se dunque il buon giorno si vede dal mattino, l'arcobaleno ambientalista è avvertito. Quindi sta volta sembra proprio che vogliono fare sul serio, lunedì prossimo è già indetto un nuovo momento informativo/divulgativo/propagandistico riguardo il grandioso ventilato progetto; la politica regionale, quella che l'altro ieri ha approvato il PPR, sembra ora già schierata a favore della nuova avventura dei capitani coraggiosi; i finanziamenti sembra che non manchino, anzi pare che i promotori dispongano di risorse infinite della cui fonte nulla si intravvede; insomma la voglia di mettere mani al portafoglio sembra crescere giorno dopo giorno, sicuri che l'investimento sarà premiante in termini di redditività per i capitali da investire. Sin qui le notizie dei media con l'evidente scopo di creare una prima barriera fumogena alle critiche che comunque, anche se minoritarie o proprio perché minoritarie, pioveranno. Una difesa preventiva, il gettare una testa di ponte per i successivi attacchi e lo sfondamento finale delle linee nemiche. Direi che gli ingredienti ci sono tutti e anche le prudenti dichiarazioni degli investitori tese a chiedere un consenso ampio e condiviso ci stanno tutte per demonizzare poi l'avversario, se mai comparisse. Dunque, dunque aspettiamoci di tutto e di più; la realtà o l'illusione di un rilancio turistico dell'Ossola che riproduca le performance della Macugnaga anni 60, ora ridotta quasi in cenere; una clamorosa bufala destinata a spegnersi dopo poco, ne dubitiamo; certamente un tentativo di riprodurre in loco un circo bianco sul modello di tante altre stazioni poste al di qua o al di là del confine alpino, neve permettendo; nulla di innovativo se così fosse e con tutti i difetti e i rischi che le altre realizzazioni hanno sperimentato e sperimentano. La prova per l'arcobaleno ambientalista sarà dunque dura e difficile e dagli esiti incerti; siamo solo alle prime battute, ma se il buon giorno si vede dal mattino, si prevede tempesta.

mercoledì 11 ottobre 2017

S. MARIA MAGGIORE- LA PINETA OSSERVATA


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In coerenza con l'azione che I.N. aveva intrapreso al momento della variante urbanistica del Comune di S. Maria Maggiore in funzione della realizzazione del campo golf in area occupata da bosco di alto fusto, l'estensione ora di quella previsione ad un ulteriore ambito destinandolo ad usi funzionali all'accoglienza turistica posta a servizio del campo da gioco, ha indotto l'Associazione ha ribadire le proprie osservazioni critiche, producendole ora nell'ambito delle osservazioni pubbliche aperte da quel Comune. Ne riproduciamo qui sotto il testo integrale. 


Spett. Comune di 
Santa Maria Maggiore 
c.a. Signor Sindaco 

Prof. Claudio Cottini 
SANTA MARIA MAGGIORE (Vb) 

Data 10/10/2017 . 

Prot.3217 

OGGETTO: Variante Parziale n° 11/2015 (V 11-2015) al PRG vigente – adozione Progetto 


Preliminare - Osservazioni nel Pubblico Interesse, ai sensi Art. 15 LR 56/77 e s.m.e.i - 

PREMESSA 

Questa Associazione ha preso atto dell’adozione, da parte dell’Amministrazione Comunale di 
Santa Maria Maggiore così come riportato dall’Avviso di deposito comparso sul sito web del 
Comune di Santa Maria Maggiore a decorrere dal giorno 11 settembre 2017, al giorno 11 
ottobre agosto 2017, del Progetto preliminare di Variante parziale n°11 (V11-2015) al PRG 
vigente. 
Prima di entrare nel merito delle Osservazioni, questa Associazione rileva che la Variante 
Parziale ex Art.17 LR56 /77 e s.m.e.i., denominata V 11-2015, si inserisce quale ulteriore 
infrastrutturazione dell’area sportiva a “campo da Golf”, precedentemente realizzata con 
Variante Parziale V8 al PRGC, sempre secondo le modalità dell’Art. 17 comma 7 della LR 
56/77 e s.m.e.i 
All’epoca la scrivente Associazione ITALIA NOSTRA Onlus, Sezione Verbano Cusio Ossola, 
si oppose alla suddetta previsione, sia con specifiche Osservazioni nei termini di Legge, 
secondo quanto previsto dalla LR 56/77 presentate con Ns. prot. 511 del 04.02.2011, sia 
con successivo ricorso presentato al Presidente della Giunta Regionale con Prot. 1311 del 
11.04.2011 (delle quali si allega entrambe copia per debita chiarezza dei fatti) ai sensi della 
L.R. N. 56/1977. art. 17, comma 10/bis e Decreto Presidente della Repubblica 24 novembre 
1971 n. 1199,per s.m.i. col quale si richiedeva l’ ANNULLAMENTO dell’ approvazione del 
progetto definitivo di variante Parziale V8 al P.R.G.C. datato novembre 2010 e suo 
aggiornamento del marzo 2011. 
Di tale ricorso non si è conosciuto esito alcuno 
OSSERVAZIONI GENERALI 
Si dà atto che tale Variante V11, contempla esclusivamente una richiesta/proposta 
pervenuta per la realizzazione di una attività “imprenditoriale”, definita dalla stessa Amm.ne 
Comunale come meritoria in quanto “,,,,risulta possedere le caratteristiche di interesse 
pubblico per l’intero tessuto turistico comunale,,,,”, così come si recepisce dal VERBALE 
DI DELIBERAZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE N.22 del 31.07.2017. 
Entrando nel merito, si Osserva che tale previsione, fermo restando il cambio di 
“destinazione d’uso” previsto per il manufatto edilizio agricolo, cd. “baita in stato pericolante”, 
(come si legge dalla relazione tecnica di accompagnamento della variante) si pone a tergo 
del Parco Urbano classificato quale “attrezzatura sportiva golfistica”, all’interno di un 
comparto forestale di pregio, di cui è stata modificata con Variante V8 la destinazione 
urbanistica, da “agricola” a “servizi”. 
Già all’epoca della Variante che permise la realizzazione di tale impianto, la scrivente 
Ass.ne, si oppose a siffatti propositi, considerato che tale ambito di pregio naturale sarebbe 
stato gravemente pregiudicato nelle sue valenze. Si consideri che lo stesso ricorso 
presentato avanti al presidente della Giunta Regionale, manifestava gravi incongruenze di 
rappresentazione cartografica della previsione dell’area oggetto di mutamento di 
destinazione urbanistica da "area agricola" ad "area a servizi" (campo da golf), andando ad 
insediarsi all’interno della pineta secolare di Santa Maria Maggiore (zona sottoposta a 
vincolo paesaggistico). 
Ora non si può non ribadire fermamente che tale ulteriore nuova previsione, si pone in totale 
contrapposizione con i fini precipui del Piano Paesaggistico Regionale, approvato 
definitivamente in data 3 ottobre 2017 proprio per quanto concerne la compatibilità di azioni 
antropiche che vadano a modificare lo stato dei luoghi. 
Seppur la previsione comporta il “cambio di destinazione d’uso” di un originario manufatto 
agricolo di ricovero, baita in pietra caratteristica dell’edilizia rurale locale, trasformandola in 
edificio ad uso “ricettivo”, la nostra perplessità è relativa piuttosto al pesante impatto di 
trasformazione che subirebbe l’intera area a monte del mappale in cui ricade tale edificio 
agricolo, area a prevalente vocazione naturale, ricoperta di manto forestale (bosco ad alto 
fusto di conifere). 
In tal senso si sottolinea che l’area oggetto di trasformazione è posta all'interno di una zona 
boscata, che in quanto tale è assoggettata a vincolo paesaggistico nazionale, ai sensi 
dell’Art. 142 Aree tutelate per legge del D.Lvo 22 gennaio 2004, n.42 Codice dei beni 
culturali e del paesaggio: " ...., sono comunque sottoposti alle disposizioni di questo Titolo 
per il loro interesse paesaggistico: ......g) i territori coperti da foreste e da boschi, ancorché 
percorsi o danneggiati dal fuoco, e quelli sottoposti a vincolo di rimboschimento". 
La stessa ARPA Dipartimento territoriale Piemonte Nord Est – Attività di Produzione Nord 
Est. Rif. 2017/B.B2.04/00524 con Nota datata 08/03/2017, ha posto in evidenza “…. la 
possibile insorgenza di problemi ambientali connessi con la presente variante in relazione 
alla componente suolo e sottosuolo, al consumo di risorse non rinnovabili, alle trasformazioni 
di ambienti naturali ed alla tutela della salute umana.” 
In tal senso venivano richieste integrazioni alla documentazione prodotta. 
Dalle Integrazioni prodotte, si recepisce che per quanto attiene agli interventi sulle superfici a 
vocazione forestale, all’interno delle quali si prevedono attrezzature ludiche/sportive: 
(estratto da Integrazioni al Completamento della fase di assoggettabilità a VAS, Relazione 
Illustrativa – Variante Parziale n. 11 Progetto Preliminare) 
“ Per quanto sopra dettagliato si evidenzia che: 
§ gli interventi previsti con la variante risultano coerenti con la Destinazione Funzionale 
Prevalente attribuita alle aree interessate; 
§ le eventuali trasformazione di superfici boscate, in altra destinazione d’uso, risultano 
disciplinate dell’art. 19 della LR 4/2009 che prevede l’obbligo di redazione di un progetto di 
compensazione forestale nonchè di acquisire, ai sensi del regolamento forestale 8R, 
l’autorizzazione da parte della struttura regionale competente in materia forestale; 
§ le compensazioni (ai sensi della LR 4/2009 e s.m.i.) sono valutate in sede di 
autorizzazione paesaggistica ai sensi del D. Lgs. N. 42 del 2004; 
§ eventuali interventi di mitigazione previsti in sede autorizzativa, dovranno essere 
considerati integrativi e non sostitutivi degli interventi di compensazione (art 19 
comma 6 LR 4/2009 e s.m.i. ” 
In grassetto, si evidenziano le incongruità di tali integrazioni, che acconsentono determinati 
interventi di modifica del suolo, giustificandoli come “…coerenti con la Destinazione 
Funzionale Prevalente…” 
In tale senso si ribadisce che possano solo considerare coerenti con la vocazione funzionale 
dei luoghi, esclusivamente attività soft e non irreversibili, quali ad esempio “percorsi vita” che 
si adeguino e si relazionino con la morfologia del luogo, senza previsione alcuna di 
trasformazione operata attraverso azioni di modifica che pregiudichino l’assetto 
idrogeologico e gli equilibri naturali dell’ambito. 
Si rileva, così come ampiamente documentato fotograficamente, che l’intero ambito a monte 
della baita, storicamente è segnalato e si connota con un soprasuolo fortemente corrugato, 
attraversato da rivoli superficiali e per la presenza di massi ciclopici, testimonianze di fasi 
geologiche storiche. 
Pertanto, quanto qui evidenziato e puntualmente segnalato, dovrebbe essere sufficiente al 
fine del ridimensionamento delle attività proposte. 
CONGRUITA’ DELL’APPLICAZIONE DI VAR. ART 17,COMMA 17 LR 56/77 ALLA LUCE 
DELLA STRUMENTAZIONE PIANIFICATORIA SOVRAORDINATA (PTPC, PPR) 
Si tiene segnalare che il meccanismo approvativo delle Var. cd “parziali” ai sensi dell’Art 17, 
comma 17 LR 56/’77 e.s.m.e.i, è di competenza della Prov. di riferimento ( nel caso 
specifico quella di VB), ottemperando alla supervisione di tali modifiche a livello di 
pianificazione locale, rilevandone la congruità o meno secondo gli indirizzi dello Strumento 
Pianificatorio Sovraordinato, ma ciò può essere fatto solo in presenza di un PTP. 
Si rileva, così come comunicato dal Competente Settore Pianificazione della prov. di VB, che 
l’Ente “….non dispone di un Piano territoriale di Coordinamento, approvato dalla 
Regione ai sensi della LR 56/77 e.s.m.e.i” (Ved. Nota riportate del Competente Settore 
Prov.le) 
Ancor più, attraverso la disamina di analoghi Elaborati predisposti in circostanza di Var. Art 
17 comma 17 LR 56 77 e.s.m.ei da altri Comuni della prov di VB, si evince che : 
“…..con la redazione del Piano Territoriale di Coordinamento vengono determinati gli indirizzi 
generali di assetto del territorio attraverso l’identificazione delle diverse destinazioni d’uso dello 
stesso, la definizione delle linee di intervento per la sistemazione idrica e la regimazione delle acque, 
la segnalazione di aree da destinare a parchi o riserve naturali. 
Il PTP del VCO, è stato presentato in una prima versione di “Proposta preliminare” nell’ottobre del 
2000, successivamente, oggetto di emendamenti e revisione, è stato adottato con delibera del 
Consiglio n. 27 il 29/03/2004. 
Successivamente è stato attuato un processo di revisione, integrazione e aggiornamento degli 
elaborati del PTP secondo le linee di indirizzo contenute nel: “Documento di indirizzi per le scelta di 
piano” del 2006 approvato dal Consiglio Provinciale. 
Il nuovo Piano Territoriale Provinciale è stato approvato con delibera della Giunta Provinciale n. 
94 del 02.05.2008 e adottato con deliberazione del Consiglio Provinciale n. 25 del 02.03.2009. 
Le misure di salvaguardia del PTP risultano decadute il 02.03.2013 in quanto sono passati tre anni 
dalla data di adozione del Piano Territoriale Provinciale (art. 58 LR 56/77 e s.m.i.)” 
COERENZA CON LO STRUMENTO SOVRAORDINATO DEL P.P.R. 
Non da ultimo, si fa presente che, sia la Strumentazione Pianificatoria Locale, sia la 
Strumentazione Pianificatoria Provinciale, devono attenersi ora alla Pianificazione Reg.le 
Sovraordinata, ossia agli indirizzi, direttive e prescrizioni contenuti nel Piano Paesaggistico 
Regionale di recente approvato e che pertanto, in fase di varianti in itinere, come quella 
in esame, o successive detta approvazione, dovranno essere recepiti gli indirizzi e le 
direttive contenuto nel medesimo strumento sovraordinato e riferite all'ambito oggetto 
di intervento. 
Per completezza, si riportano alcuni punti salienti tratti dalle direttive della Scheda d’Ambito 
“VALLE VIGEZZO” del PPR, attinenti nella valutazione complessiva della nuova 
destinazione proposta: 
INDIRIZZI E ORIENTAMENTI STRATEGICI 
• La conservazione integrata del patrimonio edilizio storico e del contesto paesaggistico a esso 
connesso…. 
0- porre attenzione nei confronti dell’insediamento di nuove attività di servizio e loisir; 
per quanto riguarda gli aspetti rurali e silvocolturali: 
- sviluppare la pianificazione forestale per una gestione sostenibile almeno per le principali 
proprietà comunali; 
Alla luce dei riferimenti riportati si ritiene che la variante in itinere debba essere 
sostanzialmente riesaminata e riformata. 
Con osservanza 
Il Segretario Sez. VCO 
Ass.ne Italia Nostra ONLUS 
Piero Vallenzasca
Segue documentazione

domenica 8 ottobre 2017

P.T.P. CHI L'HA VISTO ?








Nel panorama amministrativo della Provincia par vi sia uno scomparso. Lo scomparso è il Piano Territoriale di Coordinamento, uno strumento di pianificazione previsto dalla legislazione urbanistica e che, almeno, per più di un decennio i vari governi Provinciali, succedutisi uno dopo l'altro, si erano " divertiti" a fare e disfare. Insomma un governo in carica cercava di redigerlo, ma poiché arrivato al capo linea non riusciva ad arrivare in fondo alla approvazione, il governo successivo, di altro colore, lo rimaneggiava di nuovo e così via. La storia, come abbiamo detto è andata avanti parecchio, sin tanto che almeno un governo, quello in carica nel 2009, riusciva ad adottarlo in via definitiva. Adottarlo non significa approvarlo e infatti la legislazione prevede che venisse acquisito il parere della Regione. La legge dice anche in quanto tempo: 120 giorni. Trascorsi i quali, per carità, non succede nulla di particolare, c'è sempre il tempo per esprimere il parere, ma il problema è che di giorni non ne sono passati soltanto 120, ma almeno 2.920. Insomma il Piano sembra proprio sparito, finito non si sa dove, nessuno lo dice, nessuno ne parla. E' stato espresso il parere ? Sì, no, non si sa, il silenzio è totale. I soldi spesi per i vari piani rischiano di essere soldi buttati, la pianificazione che in quel piano era prevista, bella o brutta che fosse, sta diventando roba vecchia, le salvaguardie previste sono saltate almeno dal 2012, l'Ente Provincia continua ad esprimere pareri sugli strumenti urbanistici dei Comuni senza disporre dello strumento che serve ad esprimerli. Pare una storia surreale. Incuriositi, ma anche interessati alla cosa, abbiamo provato a rivolgere la domanda al Presidente della Provincia, Stefano Costa. Ora attendiamo impazienti la risposta. 







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Sezione Verbano Cusio Ossola




Preg. mo Presidente Ente Provincia 
del Verbano Cusio e Ossola V.le Industria 

FONDOTOCE VERBANIA 


Prot. 3117

07/10/2017

OGG: Piano Territoriale di Coordinamento. Mancata approvazione-esito.

E’ notorio che, dopo lunghe traversie e svariate revisioni, il Consiglio di Codesto Ente aveva adottato lo strumento di pianificazione in oggetto, crediamo nel lontano 2009 e come risulta anche da un comunicato di Codesto Ente inoltrato alla Regione per l’acquisizione del parere competente. 

Tuttavia, trascorso così lungo periodo, ad oggi non si ha notizia che lo strumento sia mai stato definitivamente approvato da Codesto Ente .

L’effetto primo di questo oggettivo ritardo è l’intervenuta decadenza di tutte le norme di salvaguardia che quello strumento conteneva, il differimento a un tempo indeterminato di tutte le sue previsioni e il sostanziale vanificarsi anche delle spese sostenute per la redazione dello strumento.

La norma, per vero, dettava e detta tempi abbastanza brevi, ancorché ordinatori, affinché la Regione esprima il suo parere, ma ad oggi la sua eventuale mancanza non troverebbe altra giustificazione che in una volontà dei Governi interessati contraria alla approvazione di quel piano, congelandolo nei fatti e non in diritto. 

Altra cosa poi se invece il parere sia stato espresso e la mancata chiusura del procedimento sia da imputarsi soltanto alla volontà di Codesto Ente; comunque la cosa è ignota.

Poiché l’assenza del Piano vanifica, nei fatti, i poteri di coordinamento e di controllo che l’Ente Provincia esprime nei confronti degli strumenti di pianificazione comunale, o meglio delle loro modifiche, questa Associazione, considerati i suoi fini statutari, ha interesse a conoscere le cause del ritardo che qui denunciamo.

Saremmo pertanto grati, Sig. Presidente, se ci vorrà aggiornare in merito.



Cordialità 

Il Presidente

Piero Vallenzasca


           

venerdì 6 ottobre 2017

PPR - IL TRAGUARDO.



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Questo che postiamo più sotto è l'annuncio, forse un po' troppo trionfalistico, comparso sul sito della Regione con cui cui è stato comunicato che il lungo percorso di approvazione del Piano Paesaggistico ha avuto fine. Aspettiamo ora la pubblicazione sul bollettino ufficiale e questo monumentale documento incomincerà a produrre i suoi effetti. Ho detto incomincerà, perché, a parte le " prescrizioni" in esso contenute che già dall' adozione sono in vigore, le altre norme dovranno essere recepite dai piani regolatori comunali. Si apre perciò un altro percorso, né breve, né agevole, prima che tutto l'apparato del Piano abbia a dispiegare i suoi pieni effetti. E' questo un tributo che dobbiamo pagare al mondo delle autonomie, in primis ai Comuni che attraverso le loro rappresentanze hanno minato il percorso del piano, sin dove hanno potuto. Merito quindi all'Assessore di turno che è stato capace a tener testa e mantenere l'impegno che si era dato. Sappiamo che il Piano non è il massimo, avremmo voluto di più, speriamo non siano siano stati approvati, nelle ultime ore di discussione, emendamenti, ( in discussione ve ne erano 65) che ne abbiano indebolito l'impianto, certamente non rafforzato, ma questo è il pegno che si paga alla democrazia ed è giusto che sia così. Da domani incominceremo a guardarci attorno, vigilando affinché i Comuni non smontino ciò che, faticosamente, è stato messo in campo e sappiamo che i tentativi ci saranno comunque. Quanto ai tralicci ed ai capannoni del titolo annunciato dalla Regione, sì forse qualcuno di meno lo faranno, ma a compenso ne faranno altri. 


Piemonte, stop a tralicci e capannoni 

3 Ottobre 2017 

Dopo Puglia e Toscana, Regione approva piano paesaggistico 



(ANSA) - TORINO, 3 OTT - Il Piemonte è la terza Regione italiana, dopo Puglia e Toscana, a dotarsi di un piano paesaggistico regionale. Il provvedimento della Giunta Chiamparino, frutto del lavoro di anni, è stato approvato oggi in Consiglio regionale. A favore, oltre al Pd, le altre forze del centrosinistra e il Movimento 5 Stelle. Contrari gli esponenti del centrodestra, che ritengono i nuovi vincoli troppo restrittivi e particolarmente onerosi per i Comuni. D'ora in poi i crinali montani saranno liberi da nuovi tralicci e impianti di risalita, i vigneti saranno più protetti, e si porrà uno stop al proliferare dei capannoni che imbruttiscono le aree verdi. Obiettivi, la salvaguardia del territorio, la riqualificazione delle parti compromesse, la crescita di una coscienza collettiva sui temi del paesaggio. "Il piano - rimarca l'assessore all'Ambiente Alberto Valmaggia - è il frutto di un grande lavoro che ha visto l'impegno delle strutture regionali e statali per oltre 10 anni, attraversando più legislature".


mercoledì 4 ottobre 2017

DAL NAZIONALE

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21-09-2017
Porto di Mare di Milano: una nuova area verde affidata a Italia Nostra


A fine luglio il Comune di Milano, grazie all’esperienza del Boscoincittà, ha affidato alle cure di Italia Nostra Milano Nord – Centro di Forestazione Urbana, l’area di Porto di Mare.
Si tratta di una grandissima sfida per l’Associazione per ridare ai cittadini un vasto territorio di 65 ettari da decenni abbandonato e negli ultimi anni conosciuto più che altro come discarica e luogo di spaccio.
Il nostro lavoro produrrà la realizzazione di sentieri, zone destinate ad attività di svago e sportive, zone di osservazione della fauna soprattutto nella zona umida dei pratoni, e ancora collegamenti ciclopedonali con le zone limitrofe. E questo è solo l’inizio.
Importante il coinvolgimento delle associazioni di zona e anche dei rappresentanti del decentramento amministrativo per far loro conoscere l’area e insieme per coinvolgerli nei lavori manuali e di promozione dell’area.
Per cominciare subito e bene e in linea con gli intenti di recupero sociale, domenica 24 settembre, nell’ambito di “Green City” (manifestazione di tre giorni dedicata al verde) Italia Nostra ha organizzato con Legambiente una giornata di pulizia straordinaria al Porto di mare con gruppi di volontari coordinati dai nostri operatori per la raccolta dei rifiuti, con opportune attrezzature fornite da Amsa – Azienda Milanese Servizi Ambientali. A seguire la festa con pic nic nel quale ogni associazione e/o cittadino potrà portare cibi e bevande da condividere.
Ma che cos’è Porto di Mare? Da dove arriva questo nome?



lunedì 2 ottobre 2017

FALANGA ? CHI ERA COSTUI





Sono le ultime ore, per verità gli ultimi giorni, per il disegno di legge Falanga, un ignoto deputato assurto a notorietà per aver firmato il disegno di legge che ha già avuto il merito di far discutere sul tema dell' abusivismo edilizio, questione italica endemica. Quale sarà l' esito lo vedremo nelle prossime ore o giorni; approvato o affossato. Qualunque esso sia, il problema dell'abusivismo edilizio non sarà certo risolto. In una nazione dove l'abbattimento di un abuso è un 'eccezione, mentre in alcune aree costruire abusivamente è norma, non penso che un semi ignoto Falanga possa fare più danno di quel che già c'è, tanto meno potrà fare circa niente per frenare gli abusi, semmai proprio il contrario . Intendiamoci il problema esiste, eccome, ed è forse molto più complesso di come lo si vuol fare apparire. Sono passati 32 anni dal primo condono, quello che avrebbe dovuto risolverlo. Si sa che quelle pratiche di condono ancora in molti comuni non sono state chiuse, per vero forse mai neppure aperte. Ecco questo è già un primo problema che dovrebbe essere risolto con tardiva urgenza, obbligando i comuni a chiuderle entro un tempo ultimo e certo e in caso contrario mettendoci una qualche pena. Non c'è neppure certezza che ancorché fossero, finalmente, chiuse, lo sarebbero rispettando le regole del condono, ossia condonando chi ha diritto e negandolo a chi non lo ha. Ma qui si può fare ben poco, anche questo fa parte del costume italico. Comunque sia, chiuderlo avrebbe il merito di fare una prima chiarezza; quelli che stanno dentro e quelli che stanno fuori, ma il deputato Falanga a questo non ci ha proprio pensato ? Il primo condono però era dell'altro secolo, nel frattempo di acqua sotto i ponti ne è passata una quantità enorme, tanto che un altro paio di condoni, anche se più piccoli, mi pare che siano stati approvati. Anche di questi non è dato conoscere quale sia stato il loro esito e quindi tanto varrebbe spingere perché siano urgentemente , e bene, è il caso di dirlo, chiusi. Ma anche di questo Falanga si deve essere dimenticato. Tutto il resto, cioè ciò che sta fuori dai vari condoni, è materia elettorale per il semplice motivo che l'abusivismo è diffuso e quindi il voto degli abusivi conta. Conta molto poi perché la materia è nelle mani del Comuni, notoriamente molto vicini ai loro elettori, ed anche questo è un gran bel problema. Bisognerebbe pensare ad una qualche soluzione, non importa se venga fatta passare per un aiuto ai sindaci che invece non lo è, ossia occorrerebbe metterci dei veri poteri sostitutivi che oggi veri non lo sono. Ci ha pensato Falanga ? Onestamente non lo so, non leggo nel pensiero di chi non conosco. Tuttavia, spostando i poteri non si eviterebbe ugualmente la rivolta popolare laddove la diffusione dell'abuso fosse così esteso da oggi essere definito di necessità. Difficile parlare di necessità in una nazione che ha più case di abitanti, ma il povero Falanga una qualche ragione pur la doveva trovare per evitare che sentenze passate in giudicato andassero in esecuzione. Se così fosse, ma aspettiamo di leggere il testo definitivo, ci troveremmo quindi di fronte al principio del favor rei applicato ad una pena accessoria quale è l'abbattimento per sentenza, ma dovrebbe estendersi altresì alle concorrenti sanzioni amministrative di ugual tenore. Come poi una tal legge possa reggere di fronte al rispetto del principio costituzionale di uguaglianza, non saprei proprio; finirebbe che dovrebbero estenderla a tutti, sarebbe perfetta. Ma per tornare al tema, gli abusi sono una varietà assai ampia, fattispecie diverse, sanabili o non sanabili, parziali o totali, sanzionabili con la sola pecunia, mentre "solo" quelli più gravi cadono (almeno cadessero) sotto le grida degli ordini di abbattimento. Questi ultimi abusi però, ma nessuno ne parla, in realtà dovrebbero aver subito già una prima " indolore" sanzione, ossia non avendo ottemperato i loro esecutori all'obbligo di demolizione, ricorsi a parte, l'accertamento di tale inadempienza comporta il passaggio del bene al patrimonio del comune, ex lege. E qui si torna alla questione dei comuni inadempienti perché se lo avessero fatto o si decidessero a farlo o gli costringessero a farlo, ( ci pensi onorevole Falanga) fissato e messo in pratica il principio che l'abuso non paga chi lo fa, poi si potrebbe anche ragionare di cosa farne di quell'immenso patrimonio requisito, demolendo senza pietà, manu militare, laddove ci vuole o usandolo per assegnare alloggi a giusto prezzo agli abusivi di necessità. Le soluzioni non mancano, ma le elezioni incalzano e il tempo stringe.