La contesa legale tra questa Associazione che, con la sua azione, aveva espresso anche un sentire diffuso, di preoccupazione e di dissenso rispetto alla progressiva, ulteriore, colonizzazione del Piano Grande, non è dunque andata a buon segno. Nonostante le argomentazioni usate, le repliche e le evidenze fornite, con nostro grande rammarico, il tentativo di difendere “il Piano Grande” con le armi del diritto, non ha sortito effetto e ha visto, invece, premiati gli attori pubblici ed il soggetto privato sui quali cade ora tutta la responsabilità delle decisioni assunte e degli intendimenti premiati. Il dire che la Sentenza non ci convince, esprime la nostra convinzione, ma non per questo ci consola, anzi ci rammarica ancor di più. Che cosa faremo nel futuro, ora non lo sappiamo ancora. Se l’esame scrupoloso della Sentenza da parte dei nostri assistenti legali conforterà le nostre impressioni, non escludiamo possa essere appellata, esponendoci tuttavia a non irrilevanti, per noi, impegni di spesa. Lo vedremo nei giorni che seguiranno e decideremo. Se però la sorte legale non è stata fausta in questa fase, e se lo fosse stata, forse, avrebbe aiutato, loro malgrado, anche i Governanti del Comune di Verbania, a prendere decisioni diverse e più autonome rispetto al presente e al futuro di quel Piano, non per questo adesso bisogna fare l’errore di pensare che sia venuto il tempo del liberi tutti e quelli non li possa fermare più nessuno. Nessuna delle ragioni che hanno indotto noi e altri a contrastare la progressiva avanzata dei progetti Malù sul Piano Grande è venuta meno. Chi aveva confidato che la robusta griglia normativa che, via via, era stata stesa su quel Piano, lo garantisse da successive occupazioni, ha ora avuto un brusco risveglio, scoprendo che le norme non bastano, perché la capacità di interpretare all’infinito e nei modi più impensabili le norme stesse, è una delle qualità più alte e diffuse di qui si possa vantare la pubblica amministrazione, capace di far dire alla stessa cosa il diritto e il suo rovescio. In questo, il matrimonio tra apparato e politica è perfetto, in quanto il primo sarà sempre in grado di assecondare la volontà della seconda: basta interpretare. In questo caso anche la ricerca di un giudice è stata vana, tanto da paventare di dover, anche noi, fare la fine del mugnaio Arnold, che però, alla fine, un giudice lo troverà. Rimane Il Piano Grande, dove, mi si passi l’espressione, l’ottusa visione dei governanti non ha inteso una cosa molto semplice: il Piano Grande è un valore per quello che è, dovrei dire per quello che rimane, e se così fosse inteso, la discussione sarebbe già finita. Discutere di quello che ancora si può metterci dentro, cercando sempre una mediazione con gli interessi che premono o meglio con l’interesse che preme, facendolo passare per crescita economica, è solo l’evidenza di non aver capito che di roba lì dentro ce n’é già troppa e non si deve aggiungere niente. Che qualche governante, presente o futuro, prima o poi questa cosa semplicissima la capirà, è l’illusoria nostra speranza.
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